Recensione: ПРОРОК ИЛИЯ

Di Alessandro Rinaldi - 2 Gennaio 2025 - 0:42
ПРОРОК ИЛИЯ
Band: Patriarkh
Etichetta: Napalm Records
Genere: Black 
Anno: 2025
Nazione:
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75

Lo scopo di una band è quello di dar voce al proprio talento, attraverso note musicali, testi e immagini: quando c’è una forte e radicata identificazione tra la fanbase e la stessa – ovvero il cosiddetto “dar voce”, di quel processo che diventa “rappresentare” un gruppo – si raggiunge il successo. Perché il successo non è una questione di numeri – noi metallari lo sappiamo molto bene – ma qualcosa di molto più soggettivo e meno “economicamente quantificabile”: puoi vendere milioni di dischi e non avere successo, perché la tua proposta, il tuo messaggio, è debole, e allora puoi consolarti con ingenti introiti, una fama smodata e vanagloriosa che può elevarti fino al rango di Dio tra i mortali, che è quello che sempre più spesso accade agli artisti mainstream, che vengono regolarmente promossi e allo stesso tempo accantonati nel momento in cui diventano desueti e poco “trend”. Il metal poggia su fondamenta diverse, su una forte identificazione, vivendo la musica come ragione di vita, rendendolo, di fatto, un “cliente” più scomodo. C’è un aspetto comune, a queste due realtà: una volta raggiunto il successo, certe dinamiche interne possono cambiare, e di conseguenza alterarsi gli equilibri, fino a spezzarsi irreparabilmente.

Ed è quello che è accaduto ai Batushka, band polacca fondatasi nel 2015, che fece parlare subito di sé, grazie a Litourgiya, un disco partorito dalla mente di Krzysztof “Derph” Drabikowski, cantautore e polistrumentista polacco che ha avuto l’idea di fondere black metal e canzoni tradizionali della Chiesa ortodossa, dopo aver letto dei commenti, sotto i canti liturgici su Youtube, in cui si affermava che “Gli inni di Dio sono più metal di qualsiasi cosa satanica black metal là fuori”. I Batushka hanno un improvviso e fulgido successo, forti della teatralità della musica che proponevano, perché avevano proposto una musica efficace, tanto da ascoltare quanto da “vedere”, grazie alla loro notevole presenza scenica, rendendo ogni singolo concerto una vera e propria messa blasfema in cui i fans erano assimilabili a veri e proprie pecore al cospetto dei loro pastori. Dopo soli tre anni, il chitarrista Drabikowski, annunciò la separazione da Krysiukm, colpevole, secondo lui, di volersi appropriare del progetto; ne seguì una querelle giudiziaria, poiché entrambi utilizzarono il nome Batushka, conclusasi solamente il 9 settembre 2024, come documentato da Truemetal.it.

La sentenza del tribunale polacco porterà alla soppressione dei Batushka di Krysiukm e alla nascita di un nuovo soggetto musicale, i Patriarkh, che si fanno vivi con il loro, formalmente ma non sostanzialmente, primo full-length. ПРОРОК ИЛИЯ è un concept album sulla figura del profeta Ilja, rappresentato molto bene nell’artwork, che stilisticamente ricorda Litourgiya. I Patriarkh ci portano indietro nel tempo, tra gli anni ’30 e ’40, nel mondo di Eliasz Klimowicz: un contadino analfabeta che viveva nella zona natale della band, Podlasie, che presto divenne un dissidente ortodosso, autoproclamatosi profeta (per un periodo, spinto dai suoi seguaci, credette di essere anche il protagonista della parusia),  e che diede vita alla setta Grzybowska, creando, di fatto, un piccolo scisma.

ПРОРОК ИЛИЯ è il degno erede di Litourgiya, di fatto riproponendo quanto già sentito e apportando delle convincenti modifiche nel suono: già, perché rispetto all’album che ha reso famoso Krysiukm, qui, si pone maggiormente l’accento sulle sonorità che richiamano alla tradizione dell’Est Europa e più in generale del mondo ortodosso. Il black metal, non è, banalmente, solo un movimento musicale, ma anche, e soprattutto, un fenomeno culturale, sociale e per certi versi anche politico (e talvolta politicizzato) che ha spinto i musicisti a cercare di recuperare gli elementi più antichi della propria comunità, spesso cancellati dalla selvaggia e poco tollerante opera di evangelizzazione della Chiesa: in Scandinavia, ad esempio, è stato rievocato il mondo vichingo e più in generale quello pagano, influendo anche sulla società, tant’è che oggi abbiamo film, documentari, videogiochi, serie tv e addirittura colossal sul mondo norreno. Allo stesso modo, i Patriarkh diffondono il loro verbo seguono il sentiero dei gruppi del Nord, recuperando la loro tradizione, e amalgamando black metal e doom metal alla pomposa quanto barocca sacralità della musica ortodossa, utilizzando lingue diverse (tra cui il polacco) e strumenti propri della tradizione, come tagelharpa,  mandolino, mandoloncello, ghironda e dulcimer, riproponendo delle atmosfere bizantine, attraverso passaggi popolari, rurali e tipicamente folk, in cui si muovono testi con forti richiami alla liturgia slava. Il disco è il dominio dei tempi lenti, più idonei al tessuto liturgico, in cui le chitarre e il blast beat trovano spesso delle valvole di sfogo molto convincenti, in cui il mefistofelico growl di Krysiukm graffia più che mai, perché dove c’è la luce, l’oscurità è più forte.

Musica da ascoltare, quindi, ma anche per musica per viaggiare nell’Europa dell’Est. Ma anche, e soprattutto, musica da vedere. Già, perché uno degli elementi più caratterizzanti tanto dei Batushka quanto dei Patriarkh sono proprio le esibizioni live: delle vere e proprie blasfeme rappresentazioni della ritualità cristiana, in cui visivamente i musicisti indossano delle tonache che rievocano tanto le messe quanto gli accoliti di qualche rito lovecraftiano. C’è, quindi, grande attesa per quello che sarà il tour della band e delle scelte sceniche della stessa.

Come diceva Pio XII, “La musica è Dio che sorride all’uomo”, ma nel caso dei Patriarkh è Satana che ti accarezza.

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