Recensione: New World New Eyes

Di Carlo Passa - 14 Giugno 2020 - 0:01
New World New Eyes
75

Orami da una quindicina d’anni (The Power and the Myth è del 2004), gli House of Lords di James Christian sfornano dischi con una certa costanza. Come altre band che videro la luce negli anni ottanta e il buio nei novanta, anche i losangelini finirono nel dimenticatoio fino alla prima parte del nuovo millennio, quando un certo vento di revival, oltre che il mutato mercato discografico, riportò sulle assi dei palchi (e negli studi di registrazione) molti tra coloro che ci avevano regalato classici più o meno di nicchia dell’hard rock.
Nel caso degli House of Lords, furono l’omonimo esordio (1988) e, soprattutto, il successivo e celebratissimo Sahara (1990) a riservare loro un posto di rilievo nella storia del genere. La proposta della band era un hard rock di gran classe e pomposo, soprattutto in virtù della presenza nella formazione di quel Greg Giuffria che aveva contribuito a fare grandi gli immacolati Angel e, quindi, si era distinto egregiamente con la propria, omonima band. Un songrwriting ispiratissimo, affidato alle mani di musicisti come Ken Mary, Chuck Wright e Lanny Cordola, contribuì al buon nome degli House of Lord, ai tempi celebratissimi sulle riviste di settore che, tuttavia, al cambio di decade e di gusti, furono ben leste a infilare anche gli House of Lords nel calderone del passato polveroso degli anni ottanta, improvvisamente più lontani di quanto effettivamente non fossero.
Ecco, dunque, la pausa fino al 2004. Da allora la band ha pubblicato ben otto album, questo nuovo New Worlds New Eyes essendo il decimo. Nel frattempo, la formazione è rimasta piuttosto stabile, con la bella ascia di Jimi Bell a supportare la voce di James Christian, che mai è stata eccelsa, ma si accorda perfettamente al genere.
New Worlds New Eyes non scarta molto da quanto proposto dalla band negli ultimi anni, con risultati di qualità alterna (Precious Metal del 2014 fu molto bello, mentre l’ultimo Saints of the Lost Souls era soltanto poco più che sufficiente).
Per fortuna, questo New World New Eyes non delude, riuscendo a suonare fresco e a tratti addirittura innovativo, pur rimanendo nel solco della proposta ultradecennale della band statunitense. L’approccio, infatti, è più radiofonico rispetto a Saints of the Lost Souls, il che non significa ruffianeria (che non pagherebbe, considerato l’attuale stato del mercato discografico) quanto scrittura che ritrova il gusto della melodia accattivante, ma sempre elegante e non banale. Non attendetevi certo la pomposità di un tempo, che fu prerogativa delle dita di Giuffria, quanto un bell’hard rock levigato, dagli arrangiamenti perfetti e impreziosito dagli assolo davvero ispirati di Jimi Bell. Ascoltate, ad esempio, One More, che pare un pezzo davvero troppo easy-listening e quasi fuori dalle corde di un gruppo di ultra cinquantenni, ma illuminato da una chitarra solista incantevole, capace di risultare al contempo melodica, aggressiva e tecnicamente adattissima alla miglior resa del brano.
Se New World New Eyes gode di un chorus piacevole, Change (What’s It Gonna Take) innesta sangue country con il rischio che ne consegue: e riesce a vincere la sfida. Se Change è innovativa, Perfectly (You And I) è la canonica ballad di genere, ben scritta e suonata, ma in vero priva di quella spinta che, invece, non manca a The Both Of Us, certo leggera e sentita in mille salse, ma piacevole grazie a quella sua melodia così catchy che ti dimentichi di essere nel 2020.
Meritevole di menzione è la bella Chemical Rush, che gioca intorno a un riff rotondo debitore dei Whitesnake, ma si trasforma in una canzone così tanto House of Lords nell’elegante ritornello ottantiano. Atmosfere simili si respirano nella buona We’re All That We Got e soprattutto in Better Off Broken, dove il tempo pare fermatosi e James Christian torna a incantare chi ha amato Sahara, benché l’assenza dei tasti di Giuffria un poco si faccia sentire.
Se $5 Buck Of Gasoline non lascia il segno, The Chase fa venire voglia di guidare una scapottata sul Sunset Strip, ammiccando alle fanciulle che scorrono davanti al Rainbow. In vero, il pezzo è poco più di discreto, ma l’atmosfera festaiola che emana fa perdonare una certa sua ovvietà. Infine, la veloce The Summit non interrompe la festa, ma la nobilita con un ritornello che speriamo di cantare presto sotto un palco.
Insomma, la vecchia guardia proprio non ci pensa a mollare. James Christian sarà anche tinto e lampadato, ma agli occhi di noi rocker innamorati dei suoni losangelini di fine anni ottanta resta la voce dell’eleganza fattasi hard rock. E certo non smetteremo di apprezzare gli House of Lords, a maggior ragione alla luce della qualità di New World New Eyes.
Tanti di questi album, caro James.

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