Recensione: Nightmares of the Decomposed

Di Andrea Bacigalupo - 30 Settembre 2020 - 8:30
Nightmares of the Decomposed
Etichetta: Metal Blade
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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80

Sono ben ventisette gli anni di carriera dei Six Feet Under. Mica male per un gruppo sorto essenzialmente come progetto parallelo, ‘giusto’ per dar vita alle idee di due grandi artisti: Chris Barnes e Allen West, rispettivamente vocalist dei Cannibal Corpse e chitarrista degli Obituary, tra le più influenti Death Metal band degli inizi.

Allen West nel 1998, dopo l’uscita del loro secondo album ‘Warpath’, abbandona  il combo lasciando al timone Chris Barnes, che nel frattempo si è separato dai Cannibal Corpse.

Nel corso della carriera dei Six Feet Under vari musicisti si sono alternati intorno all’irriducibile frontman; tra questi l’ascia Jack Owen, suo vecchio compagno di squadra nei Cannibal Corpse, tornato a lavorare con lui nel 2017, dopo l’uscita dell’album ‘Torment’.

A seguito di questo interessante ricongiungimento e dell’ingresso del chitarrista Ray Suhy la band, tornata ad essere un quintetto (come era all’epoca di ‘Unborn‘, full-length del 2013), sforna il suo diciassettesimo album: ‘Nightmares of the Composed’, disponibile dal 2 ottobre 2020 attraverso Metal Blade Records.

Be’ niente da dire, l’esperienza viene fuori tutta. Il Death Metal di ‘Nightmares of the Composed’ è orecchiabile, sofisticato, intensamente maligno e pericolosamente determinato.

Se lo si comincia ad ascoltare, diventa difficile staccarsi da questo platter, nel quale non è tanto la velocità smodata a comandare, presente solo nei brani di testa (‘Amputator’) e di coda (‘Without Your Life’), quanto la gravosità del tempo medio.

Dodici brani dinamici e variabili che assalgono in modo brutale, non spezzandoti le ossa con ritmi selvaggi ed abrasivi, ma sfiancandoti psicologicamente, quasi ipnotizzandoti, tirando fuori le tue paure inconsce.

La pesantezza e robustezza delle andature, la ridondanza dei giri ritmici ed il growl soffocante avvolgono la mente, insinuandosi pian piano, ma implacabilmente al suo interno per farla implodere, causando sensazioni di ansia, timore, avvilimento.

E’ come un buon film del terrore: spaventa a morte ma lo si deve continuare a vedere, anche se questo mette a rischio la propria sanità mentale.

La compattezza di squadra è ottima: tanto lavoro degli strumenti a corda in sede ritmica, buono e meritato spazio alla batteria di Marco Pitruzzella, protagonista in più di un’occasione (particolarmente in ‘The Noose’), assoli di gran fattura metallica, a volte unici momenti dove si tira un po’ il fiato, e poi, naturalmente, il profondo growl di Chris Barnes, estenuante ed implacabile nell’incedere dei suoi racconti e che fa trasalire con quel proprio modo di trasformarlo improvvisamente nella voce terrificante di una bambola assassina ed impazzita.

Si passa dal tiro senza sosta della già citata ‘Amputator’, alla cadenza ansiogena di ‘Zodiac’, dal groove martellante di ‘The Rotting’ e ‘Death Will Follow’ alla pesantezza esasperata, un po’ sabbatthiana, di ‘Migraine’.

Ed ancora, dalla durezza di ‘The Noose’ alla melodia tagliente ed abrasiva di ‘Blood of the Zombie’ e via così, fino alla fine: una tracklist senza punti deboli, che uccide lentamente, come un veleno senza antidoto.

Nightmares of the Composed’ è un lavoro crudo e diretto che inchioda immettendo sensazioni terribili, frutto di parecchia ricerca sonora ed emotiva e che mostra una formazione coesa che sa il fatto suo.

Non abbiamo niente da aggiungere se non i dati ‘tecnici’ dell’album, che è stato registrato in vari studi, tra cui i Criteria Studios di Miami, Florida (AC/DC, Black Sabbath, Aerosmith) è stato prodotto e mixato da Chris Carroll ed è stato masterizzato da Chaz Najjar ai Badlands Recording di Denver, Colorado, ed augurare, infine, un buon ascolto.

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