Recensione: Haeretica Ecclesia
Un nuovo, misterioso gruppo si affaccia oggi sul mondo del power metal: gli Apostolica, quartetto mascherato dai nomi d’arte presi in prestito da biblici profeti, che approda alla nostrana Scarlet col debutto “Haeretica Ecclesia”. La ricetta è quella che ormai da un po’ di tempo sta riscuotendo un certo successo, soprattutto tra i più giovani: un power metal cafone ed enfatico che ha fatto la fortuna di gruppi come Sabaton, Orden Ogan e Powerwolf, per non parlare dei loro adepti più devoti (un nome su tutti, i Warkings). Dal punto di vista concettuale, “Haeretica Ecclesia” si pone come capitolo iniziale dell’opera di riscrittura in chiave moderna del libro della Rivelazione, noto ai più come libro dell’Apocalisse: i quattro profeti mascherati si propongono come novelli cavalieri dell’Apocalisse e dichiarano guerra al paradiso per celebrare l’essere umano nonostante i suoi difetti e le sue debolezze. Al di là dei proclami più o meno altisonanti e ruffiani (che comunque fanno parte del gioco) e dell’estetica dark clericale su cui i nostri puntano per far breccia nei giovani cuori in cerca di innocue ribellioni, quel che resta è un lavoro opulento ma anche piuttosto inoffensivo, estremamente lineare, che fa dell’enfasi sborona il suo principale punto di forza. Se avete unito i puntini disseminati finora, le caratteristiche fondamentali di “Haeretica Ecclesia” dovrebbero esservi ormai chiare: ritmi quadrati, melodie sfacciatamente orecchiabili, cori sontuosi e virili, chitarre levigate spesso superate da un comparto sinfonico imponente e, al centro della scena, la voce arcigna del maestro di cerimonia Ezekiel, in perfetto stile Attila Dorn. La resa è, neanche a dirlo, decisamente pomposa e accattivante, perfetta per fomentare gli animi al primo ascolto con tracce immediate, lineari, prevedibilissime e arroganti. Naturalmente di originalità non se ne parla, e per tutta la sua durata “Haeretica Ecclesia” diffonde un costante profumo di deja vù.
Il coro impattante di “Sanctus Spiritus” apre le danze: in un attimo i nostri partono con una traccia che mette subito in mostra gli elementi sopracitati, dispensando carica battagliera e possanza sinfonica su una base ritmica scandita ma non priva di qualche accelerazione. L’incursione più incisiva dei cori nell’ultimo quarto ci accompagna allo stentoreo finale, che apre poi la strada a “The Sword of Sorrow”. Qui i ritmi si alzano per proporre una discreta cavalcata, sostenuta da tastiere impattanti ma anche funzionali, e che ha nel rallentamento che apre la sua seconda metà un punto luce carico di enfasi, stemperato poi dal breve ma ficcante assolo. Niente per cui strapparsi le vesti, ma si percepisce comunque un po’ di ciccia sul fuoco. “Come With Us”, dopo un’apertura in perfetto stile power sinfonico, sembra candidarsi al ruolo di power ballata grazie al suo incedere più tranquillo durante la strofa, marcata stretta da melodie soffuse che esplodono, poi, nel ritornello facile e tracotante. L’ispessimento sonoro che apre la seconda parte della traccia conduce a un cupo rallentamento che si disperde come neve al sole in vista dell’ultimo ritornello, sempre più enfatico. Si arriva ora a “Thanatos”, introdotta da un arpeggio dal retrogusto desertico, e qui arriva la prima mezza sorpresa. Sì, perché la traccia, seppur dominata dai soliti clichés, si distende per i suoi 5:29 saltellando tra una strofa cupa, minacciosa, quadrata e un ritornello che, nella sua ripetitività, mescola in modo appetitoso trionfalismo e sfacciataggine coatta, guadagnando corpo e coinvolgimento man mano che ci si avvicina al finale. Si prosegue con “Pollution is My Name”, in cui si fa largo un certo gusto cinematografico nelle partiture sinfoniche che in alcuni passaggi si fanno, a fronte di un incedere più rockeggiante del resto del gruppo, decisamente ariose. Bello l’intreccio tra voce e cori poco prima del finale, rovinato forse da un Ezekiel troppo caricato. Si arriva ora a “No More Place in Hell”, marcia scandita e primo singolo della mascherata compagine: qui più che altrove si percepiscono i numi tutelari degli Apostolica, omaggiati in modo fin troppo evidente. La canzone scorre bene ma senza aggiungere nulla a quanto detto finora, limitandosi al compitino: non si può parlare di una brutta canzone, quanto piuttosto di un episodio forse troppo didascalico. Un arpeggio soffuso alza il sipario su “The Doom”, che poi deflagra nella classica traccia trionfale facile e immediata. Anche qui si percepisce un certo sentore di deja vù, soprattutto durante l’assolo, ma alla fine il pezzo procede senza scossoni. “Famine”, dall’apertura propositiva, introduce nell’amalgama dei nostri toni quasi solari (che trovano compimento in un assolo ai limiti del neoclassico) che contrastano col testo più cupo. Il climax finale torna all’enfasi trionfale tipica del gruppo sfumando il ritornello e traghettandoci alla successiva “The Dusk is Coming”. Qui i nostri giocano con un andamento quasi languido, sinuoso, nonostante le possenti dosi di melodia tracotante, e confezionano l’ennesimo inno magniloquente e vigoroso che raggiunge il suo climax nel finale. Il compito di abbassare il sipario sull’album è affidato a “Redemption”, brano diretto e trionfalissimo che, grazie al tiro propositivo e battagliero, chiude “Haeretica Ecclesia” con la giusta dose di vigore.
Mi ero avvicinato a questo debutto con parecchi timori che, infine, si sono rivelati tutti fondati, eppure dopo ripetuti ascolti non me la sento di trattare troppo severamente “Haeretica Ecclesia”. L’album, è vero, risulta estremamente derivativo, facile e prevedibile, impostato per far subito presa ma non per restare troppo nella memoria. Alla conta dei fatti gli Apostolica, dietro a un’immagine ruffiana e costumi più o meno scopiazzati, non fanno nulla per differenziarsi dal mare magno del power più ostentato, ma hanno comunque confezionato un lavoro a suo modo divertente: “Haeretica Ecclesia”, pur senza innalzarsi dal ribollente pantano di uscite tutte uguali, è un debutto che, preso in un’ottica di divertimento senza pensieri, potrebbe riservare qualche emozione. Soprattutto se vivete di pane e Sabaton.