Recensione: #13
Tornano gli svizzeri Gotthard con un nuovo album.
Il tredicesimo da come si può intuire dal titolo (#13 appunto), il quarto con Nic Maeder alla voce, subentrato ormai da tempo al posto del compianto Steve Lee.
Il vuoto lasciato dal vecchio vocalist non era certo facile da colmare: ricordiamo come all’epoca venne pure messo in discussione il futuro del gruppo. Esperienza tuttavia che si è rivelata positiva quella con Maeder, tanto da indurre gli elvetici a continuare assiduamente il proprio cammino nonostante una perdita tanto grave.
Un’uscita non proprio recentissima (il disco è fuori da qualche mese), che però recuperiamo volentieri: è di nuovo ora di accendere gli amplificatori e macinare riff.
Produzione affidata questa volta a Paul Lani. Una scelta mirata per poter ricavare un suono più heavy senza però stravolgere lo stile da sempre proposto dei Gotthard. Altra novità inoltre alla batteria: Alex Motta sostituisce lo storico drummer Hena Habegger che pare abbia deciso di prendersi un periodo di pausa.
L’esordio è molto tradizionale: si parte con l’hard rock energico di “Bad News” per proseguire con “Every Time I Die”, brano con una ritmica ben spedita e gustose rasoiate di chitarra. Senza dubbio una partenza con i fuochi d’artificio ottenuta tramite due brani dotati della stessa carica e dinamismo con cui si affrontano i due bovini ritratti nella copertina dell’album. L’immagine in questione, infatti, rappresenta la Battaglia Delle Mucche, una manifestazione folcloristica svizzera.
Evidentemente con questa scelta i Gotthard hanno voluto sottolineare con fierezza le loro radici elvetiche, analogamente a quanto accaduto in modo ironico sulla cover del live “Made In Switzerland” del 2006 .
Si prosegue con “Missteria“, primo singolo estratto da #13, una song un po’ sperimentale che mischia atmosfere orientaleggianti e rock in modo fascinoso . La successiva “10000 Faces” ha un suono moderno e pesante che però non guasta, risultando comunque piacevole. “SOS” è una cover degli Abba: l’idea della sua incisione è nata da un intervento di Nic Maeder ad un programma della tv svizzera (s’intenda, non quella del Sig. Rezzonico e Gervasoni di Mai Dire Gol!): il brano parte con solo voce e piano per poi finire in una versione più rock.
“Another Last Time” invece è un pezzo tutto sommato ascoltabile ma niente più, che scorre via senza entusiasmare particolarmente. La successiva “Better Than Love” è uno dei punti alti di questo #13: il pezzo inizia con un intro di tastiere che fa da apripista ad una ritmica di chitarra indovinata e un cantato orecchiabile, per sfociare in un ritornello da sbraitare a squarcia gola tanto da sembrare uscito da un disco dei Bon Jovi.
Forse ancora meglio la successiva “Save The Date“. Esemplare la partenza con le chitarre di Leo Leoni e Freddy Scherer che paiono sferrare un attacco da due fronti: il brano ha la giusta dose di ritmica e melodia e si conferma uno dei più riusciti dell’ album.
Arriva quindi il momento di riprendere il fiato con “Merry You“, una ballad acustica che ricorda i Whitesnake più recenti: sinceramente niente di particolarmente innovativo ma che comunque si lascia ascoltare volentieri. “Man On A Mission” ha un inizio lento per poi svilupparsi in un mid tempo dal sapore blues ed un bell’assolo di chitarra. “No Time To Cry” dall’intro sembra una ballad ma poi si sviluppa in un brano più heavy con delle chitarre rocciose ed un altro buon assolo di chitarra.
“I Cant Say I’m Sorry” è l’altra ballad del disco che però risulta un po’ troppo scontata e ruffiana. Un altro passaggio che lascia il tempo che trova. Arriviamo alla conclusione con “Rescue Me”, altro buon pezzo che parte con una ritmata chitarra acustica per poi esplodere in un brano elettrico dal sapore anni 70.
L’edizione deluxe del cd propone due bonus track: la versione demo di “No Time To Cry” e quella di “I Cant Say I’m Sorry” eseguita al pianoforte, che non aggiunge niente alla versione originale
Certamente non ci troviamo davanti ad un disco memorabile e neanche ad una pietra miliare del genere.
“#13” è comunque un lavoro genuino e fatto bene che non deluderà i fan della formazione svizzera.
Magari nemmeno un lavoro originale ma dubitiamo fosse quello l’intendimento dei Gotthard: gli svizzeri semplicemente acquisiscono nuovamente la lezione lasciata dai vari Bon Jovi, Europe e Deep Purple per poi riproporcela alla loro maniera come in questo “#13“.
Un disco come tanti dirà qualcuno.
Ma si sà che i dischi rock, quando sono fatti bene, non sono mai troppi.