Recensione: 1984
Album molto bello ma anche decisamente singolare, 1984 esce un anno prima della data riportata come titolo dell’LP, ovvero nel 1983, ed è il disco che più di tutti segna forse la sorte e il futuro di una band tra quelle che, alla fine degli anni ’70, avevano portato una ventata d’aria fresca e nuova linfa nel panorama hard rock mondiale, ovvero i Van Halen. Il disco risulta appunto essere storico perchè segna il grande aumentare della tensione fra le due stelle assolute del gruppo, ovvero lo straordinario chitarrista Edward Van Halen e l’ottimo e carismatico cantante David Lee Roth. Il casus belli che fece aumentare questa rivalità fu l’opinione di vedute riguardo all’uso dell’elettronica nelle produzioni della band, fatto riguardo al quale lo “snodato” vocalist era contrario. Quando Edward, prima di girare il disco, presentò una gran quantità di materiale fatto con tastiere e sintetizzatori, iniziarono le polemiche del gruppo, che comunque registrò con il forte ausilio di tale materiale. Questa crisi interna aumentò gradualmente, ma incessantemente, col risultato finale della dipartita di Roth, subito dopo l’uscita del prodotto. Mi sento di aggiungere, ma è solo un’opinione personale, che a causare l’uscita di quest’ultimo dal gruppo non fosse tanto una questione di elettronica, quanto una di ego, visto che il vocalist aveva un gran piglio sui fans, e, supportato dal suo costante miglioramento nelle prestazioni vocali, stava mettendo in crisi la leadership dei fratelli Van Halen. Ego o elettronica che sia, rimane il fatto che 1984, nonostante la sua diversità, è davvero un gran bel disco, in genere piuttosto articolato e vario nella sua composizione. Si nota subito una marcata differenza, rispetto ad altri capolavori precedenti come ad esempio Van Halen, sia nel sound che nelle ritmiche utilizzate, meno aggressive e quadrate ma decisamente più spigliate, allegre e “rock’n’roleggianti”. Come già detto la prova vocale di Roth è davvero eccellente, sempre matura e senza sbavature, anzi forse per la prima volta la sua prova mette in secondo piano quelle, ottime anche quelle peraltro, dei suoi compagni. Ogni tanto però la classe dei 3 musicisti (e soprattutto di Eddie) torna a farla da protagonista, ed è una gioia sentirli esibirsi. L’inizio di 1984 è subito affidato alla title track, ma non si naviga esattamente in acque calmissime “hardrockkamente” parlando. Infatti la song, che dura un minuto e poco più, e completamente affidata ai sintetizzatori e alle tastiere, che danno un sapore decisamente futuristico (ma che potrebbero anche far storcere il naso ai più) all’album e portano seduta stante alla seconda traccia. Tale pezzo è probabilmente il più famoso in assoluto (e non solo in ambito rockettaro) che abbiano mai prodotto i Van Halen, ovvero la contraddittoria “Jump”. Canzone dove ancora l’elettronica la fa da padrona, seppur stavolta con l’ausilio di altri strumenti, Jump è bella, per carità, ma è forse quella canzone che di fatto ha dato inizio alla rovina del combo, da li in poi orientato verso una musica sempre più soft e tecnologica, e meno hard, come del resto ci avevano abituato (basti pensare che l’assolo di chitarra, ottimo, è decisamente corto e lascia spazio ad un altro assolo, decisamente più in risalto, di tastiere). Tenendo conto che Jump ormai la suonano anche in discoteca, lascio ai posteri tale argomento e passo alla track successiva, forse il capolavoro di questo 1984, ovvero “Panama”. Si sente subito una ventata d’aria passata a livello compositivo ed esecutivo, ovvero niente keyboards ma una sanissima chitarra elettrica, una voce quantomai coinvolgente (ma questa era presente anche in Jump, e lo sarà su tutto l’album), e una bella batteria di fondo. In particolare reputo stratosferici l’intro (una e vera mazzata hard rock della migliore scuola), l’assolo (eseguito decisamente bene da un come sempre scontato, nella sua bravura, Eddie Van Halen), e i riff che inaugurano l’ultimo minuto di canzone, accompagnati da rombi di un motore su di giri. Le parti non citate rimangono comunque di alto livello per la traccia regina di 1984, traccia a cui segue un altro discreto pezzo quale “Top Jimmy”. Attacco molto leggero e orientaleggiante, che porta alla vera e propria song, veloce ma sempre dal sound non pesante. Tutto sommato pezzo godibile, che non esalta ma nemmeno annoia. Molto molto valida anche l’intro di “Drop Dead Legs”, mid tempo decisamente groovy rispetto al resto della produzione, dal ritornello piuttosto enfatizzato e dalle trame che all’orecchio risultano spezzettate ma anch’esse piacevoli. Possiamo fare in sostanza lo stesso ragionamento che si è fatto per la precendente Top Jimmy, ovvero canzone godibile, senza picchi né di esaltazione, né di depressione. Tra l’altro bell’assolo, sempre su velocità ridotte, ma davvero tecnico. Un bel drumming ci introduce senza fronzoli a quello che è il secondo semi-capolavoro dell’album, ovvero “Hot for Teacher”, dove un cazzutissimo (in senso positivo) David Lee Roth presenta, in un video che è tutto una risata ma che è anche fatto molto bene (con protagonista un mitico Waldo tremolante), una sfilata di possibili professoresse (tutte stupende e rigorosamente in costume) a una classe di una scuola probabilmente elementare o media. Song velocissima e che sprizza energia da tutti i pori, Hot for Teacher ha dalla sua una chitarra funambolica, un riff trascinante, un Roth autista/presentatore/cantante in grandissimo spolvero e uno spettacolare refrain, tutto da cantare. Poco sotto come livello le strofe, anch’esse molto veloci ed azzeccatissime, per questa perla particolare ma che sicuramente non mancherà di divertire, anzi. Decisa sterzata con le chitarre, che da Panama in avanti erano tornate al ruolo di protagoniste, e spazio alle keyboards, che con una sentito e splendido attacco, ci introducono a “I’ll Wait”. La track è lenta, accompagnata da una discreta batteria, ma finirebbe per annoiare se non fosse per le trame del vocalist, come sempre decisamente espressivo. Poca cosa il refrain e tutto sommato traccia che se non fosse per quella splendida intro, non passerebbe la soglia della sufficienza. Meglio addentrarci tra le note di “Girl Gone Bad”, altro pezzo particolare, almeno in principio, ma suonato con grande enfasi. Padrone della scena torna ad essere Edward Van Halen, che macina riff secchi ma pieni di brio ed energia positiva. Ottimo anche il lavoro delle backing vocals, decisamente in spolvero coi loro coretti. E chiudiamo forse con la track più aggressiva e graffiante del lotto, ovvero “House of Pain”. L’inizio lascia veramente stupiti perché fa subito intendere all’ascoltatore che titolo e song sono splendidamente legati nelle sensazioni, crude, che danno, per il resto abbiamo un mid tempo segnato da una buona batteria, e, come detto, da sonorità chitarristiche tra le più affilate di questo sesto album dei Van Halen. Molto bello il notevole assolo, che non dà respiro nella sua pure non eccelsa velocità.
Che dire quindi : album decisamente particolare, non mi sento di sconsigliarlo, anzi, ma (elettronica o non), non è sicuramente il capolavoro dei fratelli olandesi, come invece qualcuno afferma (ma sono gusti). Rimane quasi altrettanto sicuramente il secondo miglior disco di una formazione che da li a pochissimo si sarebbe divisa, con fortune alterne per entrambe le parti. A farmi storcere il naso non è comunque l’utilizzo di sintetizzatori o tastiere, in quanto i risultati hanno dimostrato che tali elementi possono fare la loro parte (casomai potevano essere utilizzati meglio in alcuni tratti, perché per esempio Jump, pur commerciale quanto volete, rimane una bella canzone), bensì il livello complessivo di alcune track, che mi fa pensare che i dissapori tra i membri del gruppo si sentivano notevolmente, penalizzando la qualità complessiva del lavoro. Per inteso : se i pezzi fossero stati tutti non dico come Panama, ma quantomeno come House of Pain, 1984 sarebbe stato un album della madonna, ma non è così, e quindi ci troviamo tra le mani un prodotto di fattura sicuramente molto elevata (del resto la classe non è acqua), ma che non si avvicina nemmeno a quello che è il vero spirito dei primi Van Halen, spirito che giunse al suo culmine col primo, irraggiungibile, album.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) 1984
2) Jump
3) Panama
4) Top Jimmy
5) Drop dead legs
6) Hot for Teacher
7) I’ll Wait
8) Girl gone bad
9) House of Pain