Recensione: 1985

Di Susanna Zandonà - 25 Settembre 2022 - 0:31
1985
Band: Talas
Etichetta: Metal Blade
Genere: AOR  Hard Rock  Heavy 
Anno: 2022
Nazione:
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78

“Se i miei calcoli sono esatti, quando questo aggeggio toccherà le 88 miglia orarie ne vedremo delle belle, Marty”.
Grande Giove! E’ il “1985”!

E lo è a tutti gli effetti, vista la Delorean parcheggiata sulla copertina del quarto album dei Talas, band di formazione di quel monumentale bassista da molti definito il “Van Halen” del basso, ma che noi preferiamo lodare per la sua autenticità (perchè definirsi l’alter ego di qualcuno, quando ci si può descrivere come il miglior originale di sé stessi?).

Stiamo ovviamente parlando di Billy Sheehan, uno dei pochi bassisti al mondo a non necessitare delle presentazioni di rito e – nondimeno – unico superstite della line-up originale (Phil Naro, il cantante, è tristemente deceduto nel 2021, poco dopo averci lasciato in eredità la registrazione delle sue parti vocali). A completarla ci vengono in aiuto Mark “Machine Gun” Miller alla batteria e Kire Naidovski alla chitarra.

L’uragano Talas (e badate bene che la metonimia è volontaria), blandisce le coste della memoria e fa scattare i sensori che identificano la presenza in archivio di qualcosa di già schedato.
Se tutto il materiale impiegato è datato al 1985, ad eccezione di “Black and Blue”, mentre scorriamo velocemente le cartellette dedicate ai grandi successi commerciali dei primi 80s (quando le radio passavano ancora buoni album carichi di hardrock melodico), troviamo a sorpresa una “Crystal Clear” che ha il riff di basso reggae pensato da Sting in Roxanne, la voce di Naro modulata su quella del cantautore britannico dei The Police e una “Don’t try to stop me tonight” erroneamente posizionata alla B di “Bark at the Moon” di Ozzy Osbourne.

Ma i Talas non si limitano ad un lavoro di sola ricerca. Il “1985” lo ripensano come se fosse oggi e ne fanno rivivere lo spirito, calandolo nel contesto odierno con estrema disinvoltura, senza troppe pretese tecniche ed inserendoci qualche citazione per “nerd” colti. Il bello è che per farci viaggiare non hanno bisogno di grandi quantità di plutonio e con i costi odierni del carburante, un aiutino non fa mai male.

Tuttavia se l’album risulta piuttosto attinente nell’ interpretazione del tema scelto, mantiene una costante sonora che alle lunghe rischia di stufare. Si rinsavisce giusto a “7lHd h” che alla motorizzazione civile risulta la traccia più progressiva, con una schitarrata che emula un flamenco quasi matematico. Ma con l’eccezione di alcune tracce scoppiettanti che mantengono alta l’attenzione: “Inner Mounting Flame” che apre le danze e “Come When You Call”, che presenta un bel groove e sincronicità con i riff di chitarra, unito alla presenza di qualche coretto lascivo… Sono assenti delle belle rullate di batteria che ti fanno venire voglia di muoverti (e noi tutti sappiamo che gli ’80s di batteristi “ossessi” ne ha fabbricati parecchi). Il basso fa da solo il lavoro da “mulo” e si sente dal piede che inizia a battere. Ma manca quella spinta in più per arrivare sani e salvi nel 2022.

“Marty, devi tornare indietro con me!” , “dove?”, “indietro nel futuro!”.

 

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