Recensione: 1987

Di Mauro Gelsomini - 29 Aprile 2003 - 0:00
1987
Band: Whitesnake
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Anno: 1987
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95

Vista l’imminente presenza da headliner al Gods Of Metal, ho pensato bene di recensire uno dei dischi-cardine della storia dell’hard rock melodico, e dare così luce ad una band – più che altro ad un artista – che secondo me dovrebbe scatenare una caccia al biglietto allucinante per il prossimo 8 giugno.

Uscito nel mondo con tre titoli diversi (“Whitesnake” negli States, “Serpens Albus” in Giappone e “1987” in Europa) e con differenti tracklist, si tratta per molti del miglior disco del Serpente Bianco, con cui il leader David Coverdale ha dimostrato di essere uno dei più carismatici e idolatrati singer della storia del rock. Al suo fianco c’è l’ex Thin Lizzy John Sykes, a dare un importante contributo su tutto il CD, piu’ che altro una lezione di chitarra. La compattezza della sezione ritmica è affidata al bassista Neil Murray e al batterista Ansley Dunbar, mentre delle tastiere si occupa l’ospite di lusso Don Airey (Rainbow, Ozzy).
Il risultato è un tipico sound di fine anni ’80, molto bluesy e con molte influenze classiche, nel vero senso della parola. Sembra palese, infatti, l’ammirazione per i classici da parte del singer, non solo per il titolo giapponese dell’album (Serpens Albus), ribadito due anni dopo con “Annuit Coeptis” (alias “Slip Of The Tongue”): “Straight For The Heart” ha la struttura tipica dell’elegia amorosa latina, derivata dal paraclausithyron greco (il canto davanti alla porta dell’innamorato); infatti la scena “standard” prevede un attacco, fisico o verbale, sulla porta di casa della donna, accusata di infedeltà, la quale risponde di essere trattata in maniera sleale, il tutto condito con l’alternanza tra l’ossequiosità rispettosa del sesso debole e l’inclinazione aggressiva del maschio. Leggere il testo per credere.
Su ogni song si potrebbe fare il medesimo discorso, dato che parliamo di 11 highlights: dalla potente ed epica opener “Cryin’ in the Rain” alla rockeggiante, in perfetto Scorpions-style (a dispetto delle liriche smielate) “Bad Boys”, da “Still Of The Night”, con gli squisiti violini che si intrecciano alle chitarre nell’interludio, alla famosa “Here I Go Again”, da “Give Me All Your Love”, velatamente oscura, al soft rock à la Foreigner di “Is This Love”, fino a “Children Of The Night”, che con il suo incedere tambureggiante è secondo chi scrive il miglior esempio del manierismo coverdeliano.

Sebbene l’originalià non sembra essere una virtù essenziale nell’ heavy-metal circus, poche sono le band ad aver sviluppato qualcosa di così sfrontatamente derivativo come i Whitesnake, a partire dalla straripante personalità espressa dall’ugola di David. Camaleonte, altro che serpente.

Tracklist:

01. Still of the night
02. Bad boys
03. Give me all your love
04. Looking for love
05. Crying in the rain
06. Is this love
07. Straight for the heart
08. Don’t turn away
09. Children of the night
10. Here I go again
11. You’re gonna break my heart again

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