Recensione: 20 Years of Noise 1985-2005

Di Matteo Lavazza - 21 Marzo 2005 - 0:00
20 Years of Noise 1985-2005
Band: Necrodeath
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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85

Quando si parla di Thrash italiano non si può prescindere dai Necrodeath, veri e propri prime movers del genere nel nostro paese, ed infatti questo cd va a celebrare i primi 20 anni di vita della band genovese, seppur con qualche anno di pausa tra un incarnazione e l’altra, pausa che se ha portato a qualche variazione musicale, soprattutto in virtù dell’esperienza che il gruppo ha maturato negli anni, di certo non ha intaccato lo spirito oscuro che da sempre contraddistingue la band.
Il disco segue la storia discografica del gruppo, ed infatti l’inizio è affidato all’accoppiata “Mater Tenebrarum” e “Internal Decay”, entrambe tratte dal mitico esordio “Into the Macabre”. Lo stile delle due canzoni all’epoca veniva descritto come Thrash/Black, e direi che la definizione può calzare a pennello ancora oggi, infatti tutte e due le canzoni associano sfuriate Thrash di matrice Slayeriana ad atmosfere cupe e malvagie, scordatevi arrangiamenti complessi o tecnicismi sparsi, agli esordi dei Necrodeath c’era spazio solo per una furia cieca e un aggressione continua, il che certo non è un difetto.
Si prosegue con due estratti da “Fragments of Insanity”, album in cui lo stile del gruppo viene meglio definito, come viene ben messo in mostra da “Choose your Death”, ottima canzone aperta da un riff molto Thrash made in U.S.A., prima di partire in un assalto sonoro davvero massiccio che viene in parte mitigato da cami di tempo davvero ben studiati, ma soprattutto dalla strumentale “Methempsychosis”, in cui il gruppo dimostra di avere anche ottime basi tecniche, oltre alle solite capacità compositive.
Con un salto in avanti di 10 anni si arriva alle canzoni tratte da “Mater of all Evil”, cioè l’album che ha segnato il ritorno sulle scene della band, rappresentato da “At the Roots of Evil”, un pezzo che rimanda la memoria a quello che è lo stile storico del gruppo, ma che mette in mostra anche l’enorme salto di qualità a livello compositivo, stesso discorso vale anche per “Hate and Scorn”, un brano lento ed oscuro davvero molto coinvolgente,che però colpisce duro quando accelera. Di sicuro ad entrambe le canzoni manca quell’alone di culto che accompagna le tracce più datate, ma musicalmente la crescita della band è incontestabile.
“Black as Pitch” è rappresentato da “Red and Blood”, una canzone che ricorda molto da vicino gli Slayer, in certi punti perfino troppo, ma che rimane comunque un ottimo pezzo, e da “Church’s Black Book”, anche in questo caso l’influenza Slayer è molto marcata, in particolare sul riff iniziale, ma un po’ tutto il brano si muove su schemi cari a Tom Araya e soci, in definitiva le canzoni tratte da questo disco non fanno che confermare quella che da sempre è la mia idea, cioè che “Black as Pitch” è l’album più debole nella discografia della band.
Con “The Mark of Dr. Z” e “Perseverance Pays” si arriva all’ultimo capitolo discografico dei Necrodeath, cioè “Tone(e)s of Hate”, un album, come confermano i due brani presenti, che rilegge lo stile del combo genovese in chiave più moderna, riuscendo a convincere nonostante qualche arrangiamento decisamente particolare.
L’unico brano inedito presente è la cover di “Black Sabbath”, se posibile rea in maniera ancora più oscura dell’originale, mentre in chiusura trova spazio l’intero demo d’esordio del gruppo, ovvero il mitico “The Shining Pentagram”, che, oltre alla già presente “Mater Tenebrarum”, comprende anche “(Necro) Thrashin’ Death”, “Iconoclast” e “Morbid Mayhem”, in pratica tutte bordate di furia quasi incontrollata, dotate però di un fascino oscuro difficilmente riscontrabile non solo nella produzione attuale del gruppo, ma in quasi tutta la scena Metal attuale, quattro canzoni che si meritano come poche altre il titolo di “Cult Songs”.
I suoni variano molto da canzone a canzone, il gruppo infatti ha scelto di non alterare quelle che erano le produzioni originali, scelta a mio parere azzeccata, e che fa si che tutte le peculiarità dei vari album siano rimaste intatte.
Come ho scritto all’inizio i Necrodeath sono un vero e proprio pezzo di storia del Metal italiano, e la storia è stata fatta da canzoni di altissimo livello, come sta a dimostrare la musica presente in questa sorta di, meritato, autotributo, spero solo che il gruppo possa regalare ancora molti anni e molte canzoni di questo livello a chi li ha sempre seguiti e a chi deciderà di farlo.

 

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