Recensione: 2013

Di Ottavio Pariante - 24 Settembre 2013 - 0:01
2013
Band: Turisas
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2013
Nazione:
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70

Parlando dei Turisas possiamo ormai indicare un gruppo di quelli piuttosto importanti nello scenario heavy europeo: una band che, grazie a coloriti show ed immagine sopra le righe, trascina le folle e, in alcuni casi, può addirittura definirsi come una sorta di modello per le nuove leve che si affacciano sul mercato.
Il loro nuovo album, uscito da poche settimane ed intitolato “Turisas2013” ha, insomma, tutte le caratteristiche di base necessarie per potersi definire un’uscita piuttosto attesa.
Nome di rilievo, seguito corposo, label importante.

Senza soffermarci tuttavia troppo sugli aspetti biografici e per entrare subito nel vivo, va detto che, questa volta, la band finlandese capitanata dal duo Nygard-Wickstrom ci propone un selezione di brani che alimenteranno non pochi episodi di confronto e dialogo.
Dalla copertina – alquanto scialba – sino al titolo un po’ banale e tutt’altro che evocativo, si evince uno stato di calma piatta che, per fortuna, non tende ad emergere troppo durante l’ascolto delle tracce contenute nel disco.

C’è molto di buono in questo “Turisas2013” ma, ad essere onesti, anche qualcosa che dovrà far riflettere: non tutti i brani, pur se ben suonati e confezionati, convincono del tutto.
La lacuna più evidente nel corso delle nove tracce non è però attribuibile tanto alla mancanza di idee o alla facilità d’ascolto – i pezzi sono piacevoli e molto orecchiabili – ma resta inquadrata in una notevole carenza di mordente e, soprattutto, di quella sana dose di follia che da sempre ha caratterizzato le uscite del combo finlandese.
Rompendo gli indugi, possiamo dire con fermezza che “Turisas2013” è disco di “mestiere” in cui la sperimentazione è affidata solo a pochi episodi.
Un disco che coinvolge ma non sconvolge, di discreto appeal, per le peculiarità menzionate in precedenza, ma che non rimarrà a lungo impresso nella memoria degli ascoltatori.

Come accennato in precedenza, l’album possiede comunque un’alternanza di momenti statici ed attimi interessanti che non portano ad una bocciatura completa quanto, piuttosto, a qualche perplessità di fondo sul cammino intrapreso.
Si respira un atmosfera molto epica, disegnata da orchestrazioni eleganti e arrangiamenti molto ben strutturati. Non mancano episodi goliardici e festaioli, come sono presenti anche momenti più intimi e riflessivi.
I suoni sono limpidi, la produzione è potente, semplicemente perfetta. A tratti forse troppo.
Infine, tutto è eseguito in maniera impeccabile.

L’apertura del disco è affidata a “For your own good” che, tra l’altro, rappresenta anche uno dei primi estratti del disco.
L’opener porta con se le prime sorprese: i nostri non si affidano ad un traccia che possa mettere sotto torchio subito l’ascoltatore, preferendo trame seducenti, con un struttura che ha nel crescendo il punto di forza dominante.
Dopo alcuni istanti di presentazione, il pezzo prende quota attraverso un mid-tempo roccioso e coinvolgente, ben eseguito da Nygard, sempre all’altezza della situazione con linee vocali mai scontate. Un pezzo non stratosferico, ma godibile anche grazie ad un refrain piacevole e molto orecchiabile.
Con “Ten more miles” i Turisas cambiano registro, affidandosi con la consueta eleganza di esecuzione ad un pezzo più consono alla tradizione del genere proposto dai nostri. Un classico brano folk metal: un inno battagliero, che però non decolla come dovrebbe, in quanto troppo ancorato a stilemi già sentiti più volte.
Con il terzo brano i sei finlandesi cominciano sul serio a spingere finalmente il piede sull’acceleratore.
La botta adrenalinica tanto attesa prende il nome di “Piece by piece”: dalla struttura molto dinamica e densa di cambi di ritmo, la canzone mostra risvolti “modernisti” che ne accentuano il fascino e – senza dubbio – la presa nei confronti di un pubblico particolarmente giovane. Veloce, melodica e di facile presa, si lascia ascoltare con piacere: ottimo e veramente pregevole il break centrale atmosferico.

Ci avviamo verso la metà del disco con la traccia numero quattro: “Into the Free”.
Il pezzo parte subito con una grande cavalcata in classico stile epic- power metal, facendo sobbalzare dalla sedia l’ascoltatore.
Un up tempo libero e selvaggio, reso intrigante dalla performance vocale del singer, incredibilmente ariosa e coinvolgente. Niente di nuovo, ma fatto con grande mestiere: la band finnica incrocia un brano sicuramente appetibile e ben confezionato.
Quella che manca – ed è purtroppo una costante in ogni episodio fino ad ora ascoltato – è la totale assenza di qualche particolare davvero significativo che possa far saltare gli equilibri e smuovere dall’anonimato canzoni sì piacevoli, ma lontane dall’essere memorabili.

La classica scintilla che si avvista in maniera finalmente percettibile nella traccia successiva, ”Run Bang-Eater Run”.
Ecco il momento più folle dell’intero disco in cui aleggiano tutte le debolezze mentali delle essere umano, descritte in una versione più goliardica e dal flavour molto orientale.
Dal punto di visto stilistico il passaggio risulta tra i più veloci e potenti del lotto, ma pure tra i più riusciti: per un momento la band si lascia andare realmente, donando all’ascoltatore una visione più genuina del proprio “pensiero” in musica.

Sesto pezzo e dopo tre passi avanti, la band ne fa uno indietro. “Greek Fire”, infatti, è uno di quei brani che non riesce proprio a convincere. Forse il più elaborato ed anche quello che “arriva” di meno all’ascoltatore.

Siamo arrivati quasi alla fine e se nei primi brani ci ha accompagnato qualche sbadiglio di troppo, nella coda finale troviamo finalmente qualcosa di veramente intrigante.
Con “The days passed”, i Turisas impreziosiscono il loro songwriting di alcuni elementi hard-Rock e AOR che ben si sposano con le idee attuali della band, non snaturando il suono antico, ma anzi, rendendolo più appetibile ed elegante.
In “No Good Story Ever Starts with Drinking Tea“, ottavo pezzo, si scatena sin dal titolo tutta la furia del gruppo finlandese, in onore di un “pirate-song” piena di allegria ed alcol come da imperativa tradizione.
Un momento carino e coinvolgente: niente di eccezionale intendiamoci, tuttavia dall’headbanging assicurato.

Il gran finale è affidato ad uno dei migliori episodi dell’album: ”We ride together”.
L’ inizio è tutto per una simpatica marcetta che sembra essere uscita dalle colonne sonore degli intramontabili film western diretti da  Sergio Leone.  Le strofe poi partono fortissimo, con un mid tempo estremamente coinvolgente. Grazie alla sua struttura dinamica ed alla melodia estremamente orecchiabile, il brano si piazza subito in testa, riuscendo a catalizzare molte delle attenzioni che verranno tributate a questo disco piacevole quanto controverso.

Una chiusura più che dignitosa di un album che ha consolidato le solite certezze, ma anche palesato alcuni insospettabili passaggi a vuoto.
Punti di domanda sinceramente ingombranti e pericolosi per la “nuova” strada intrapresa dal sestetto finlandese.

Avranno ragione loro?
Poche le risposte per ora e molte le incognite: solo il procedere del tempo e della carriera di Jussi e compari, potranno fornire responsi definitivi.

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