Recensione: 2020
Da provvisorio, “2020”, annus horribilis, destinato a lasciare, per i noti eventi che lo stanno caratterizzando, un indelebile, dolorosissimo, ricordo nei tempi a venire, diventa titolo definitivo del quindicesimo album dei Bon Jovi.
Essendo un fanatico collezionista di vinili (a proposito utilizzo impropriamente questo spazio per invitare tutti coloro che seguono Truemetal a donarmi i loro vinili e a smettere di rimpolpare la collezione di Zero Freitas che ha, oramai, superato gli 8.000.000 di pezzi), che considero oggetti d’arte, non solo musicale, confesso di prestare poca attenzione alle striminzite copertine dei cd.
Per affrontare la recensione di “2020”, invece, parto proprio dalla suggestiva foto di copertina, sulla quale lo stesso Jon, raccontandone la gestazione dalla propria pagina facebook, ha richiamato l’attenzione.
In linea con la schiettezza che caratterizza la fatica discografica, a dichiarare che la creazione dell’album non è frutto collettivo, ma essenzialmente sforzo personale, la copertina non ritrae la band, ma esclusivamente il suo frontman.
Jon Bon Jovi si staglia su una costruzione istituzionale, sotto il cui frontone risulta sfuocata, ma leggibile, la parola “giustizia”, con l’espressione del viso meditativa, quasi costernata, ad occhi bassi dietro le lenti da sole, nelle quali si riflette l’immagine della bandiera a stelle e strisce, che non sventola bellamente ma pare a mezz’asta.
L’immagine trae ispirazione da un primo piano dell’indimenticato JFK catturato da Michael Ochs. Nelle lenti del Presidente si riflette una folla in attesa, in quelle del nostro si rispecchia un simbolo di lutto che denuncia la perdita di vite umane, oltre che di valori e speranze.
Con questo album, che può essere definito “impegnato” e che rappresenta un momento di riflessione e di profonda presa di coscienza, Jon Bon Jovi, supportato dalla sua band, si confronta con temi di stretta attualità (la pandemia, il lockdown e la conseguente perdita di certezze, le diseguaglianze sociali, il razzismo, la crescente violenza dell’apparato repressivo statale, la eccessiva diffusione delle armi da fuoco, la guerra e le sue conseguenze), in maniera sentita e sincera, interrompendo la spirale discendente che ha caratterizzato la produzione musicale degli ultimi anni, orfana del grande Richie Sambora.
Dopo oltre trent’anni di attività la voce di Jon Bon Jovi è cambiata e in “2020” vi è una presa di coscienza anche a livello personale, che porta ad un diverso approccio, avvicinando, quasi a chiudere un cerchio, le tonalità utilizzate a quelle che caratterizzano l’altro grande protagonista della scena musicale del New Jersey (lo stesso che aveva predetto che i Bon Jovi non ce l’avrebbero mai fatta).
Le dieci tracce proposte, ad eccezione di un paio di classiche ballad (“Let in rain” e “Blood in the water”), possono essere divise dal punto di vista musicale in due gruppi: uno che utilizza sonorità pop-rock, nel solco della più recente tradizione della band, e uno più intimistico e struggente, di taglio folk cantautoriale.
Del primo gruppo fanno parte “Limitless”, “Do what you can”, appello in stile modern country a tenere i corretti atteggiamenti nella lotta alla diffusione del COVID e a compensare il distanziamento sociale con una maggiore solidarietà, “Beautiful Drug”, “Brothers in Arms”.
Del secondo gruppo fanno parte la commovente “American Reckoning”, che da sola giustifica l’acquisto dell’album, omaggio all’afroamericano George Floyd, vittima nello scorso mese di maggio della insensata violenza della polizia di Minneapolis, “Story of love”, “Lower the flag”, “Unbroken”, brani, interpretati magistralmente, a metà strada tra Bob Dylan e Bruce Springsteen.
L’album racconta in maniera diretta e autentica storie di vita vera che, pur partendo dall’ambientazione nella società americana, travalicano i confini e si fanno universali, che inducono a ripensare il nostro stile di vita, miope e freneticamente proteso, incurante delle conseguenze, al maggior guadagno possibile nel breve termine, storie che si rivolgono direttamente all’emotività e all’empatia (unico elemento che nel film epocale “Blade Runner” differenzia gli esseri umani dalle macchine replicanti), che suscitano tristezza e rimpianto per la perdita di quello che, se fossero state fatte le giuste scelte a tempo debito, avrebbe potuto essere.
La fine è vicina, ma non tutto è perduto e risalire la china è ancora possibile. Questo è il messaggio di speranza che ci consegna “2020”.
Dalle storie raccontate nell’album potremo trarre insegnamenti, forza e coraggio, per affrontare i tempi oscuri e le tribolazioni che ancora ci attendono, rammentando, innanzitutto, che la grandezza della vita è senza limiti.