Recensione: 25 to Live

Di Alessandro Zaccarini - 8 Gennaio 2006 - 0:00
25 to Live
Band: Grave Digger
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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82

Correva l’anno 1984 quando, un trio formato dal giovanissimo Chris Boltendahl, in compagnia di Peter Masson e Willi Lackmann, fece sobbalzare le gerarchie del metallo germanico allora in mano agli Accept, incattivendo e annerendo le tinte del classic metal di scuola tedesca: erano i tempi di Heavy Metal Breakdown. Erano però già 4 anni che il becchino muoveva i suoi passi nella scena underground alemanna, in attesa di sferrare il proprio attacco metallico in nome di brani come Headbanging Man e Heavy Metal Breakdown.

Venticinque anni di storia, dunque, ma non di attività, perché negli anni cupi che seguirono il fallimentare Stronger Than Ever la band si sciolse fino al ritorno datato 1993. Un come-back giunto nel segno del becchino più violento e serrato, e nel nome di un The Reaper ingiustamente mai osannato quanto i suoi fratelli di natura più melodica.

Per festeggiare le nozze d’argento tra lo Scava-Fosse e il mondo del metal, Chris Boltendahl e compagni realizzano questo lunghissimo doppio live, registrato il 7 maggio 2005 a San Paolo, Brasile.

L’inizio delle celebrazioni è affidata a una coppia di brani tratti dall’ultima fatica da studio della band, che presenzia per l’occasione con la title-track The Last Supper e Desert Rose. Inutile nascondere che l’impatto piuttosto scialbo dell’opener fa rimpiangere non poco i modi impetuosi di The Brave/Scotland United (ahimè dimenticata in questa sede) o anche del più recente avvio fatto di The Ring/Rheingold. Nemmeno Desert Rose pare confermarsi degna di essere paragonata al resto della produzione del necroforo, ma le cose stanno fortunatamente per cambiare, e non di poco. Come un fulmine a ciel sereno, in una nottata di oscure resurrezioni, riprendono vita vecchie glorie come la monolitica The Grave Dancer, la rediviva Shoot Her Down e la martellante, spettacolare, devastante The Reaper. Nella serata dei ritorni trova posto addirittura Paradise, in nome di quel War Games ormai dimenticato in qualche antro secolare della cripta del becchino tedesco. Gli anni del trittico medievale irrompono grazie a Excalibur, mentre The House giunge a portare la bandiera del concept dedicato alla produzione letteraria di Edgard Allan Poe. Si torna ai tempi di demoni e fattucchiere con Circle of Witches, ed è un piacere ritrovare le streghe di shakespeariana memoria danzare nel riffing d’annata di questa fantastica title-track. Balzo in avanti nel nuovo millennio con lo speed-metal di Valhalla e il palm-muting più marcato di Son of Evil, break di creature più giovani dove il buon vecchio Manni Schmidt si trova a riproporre linee di propria creazione. Le cornamuse scozzesi annunciano l’ingresso al galoppo di The Battle Of Bannockburn, che come sempre mette a segno il proprio assalto fatto di elevate ritmiche teutoniche e cori bellici che il pubblico brasiliano non si lascia scappare. Per il finale di questa prima metà di live, la band di Gladbeck insiste sul disco di mezzo della trilogia medievale con il riffing cadenzato di The Curse Of Jacques.

Anche questa seconda parte di 25 to Live si apre con un estratto dell’ultimo The Last Supper, nello specifico Grave In The No Man’s Land. Ma non resta che vederne i frammenti volare via quando il combo tedesco, con un salto di oltre 20anni, ritorna al suo debut proponendo la semi-ballad Yesterday.
Ora, se fino a qui c’era stato qualche spiraglio per qualsivoglia considerazione, da adesso l’affossatore sale sul trono di ebano e ossa per concludere questa rimpatriata celebrativa con la sua prole migliore. La stupenda Morgane Lefay apre questa stagione di classici che prosegue con l’arcigno riffing di Symphony Of Death, giunta direttamente dall’omonimo Ep, e la furia di una title-track datata 1985 e intitolata Witchunter. Dopo più di un’ora e mezza di latitanza i tempi sono maturi per pescare dal glorioso Tunes of War, spesso additato come capolavoro della band. Il primo estratto del concept filo-scozzese entra in scena grazie alla grinta di The Dark Of The Sun. L’incipit guerresco e militare dell’episodio precedente trova continuazione nell’aggressiva irruzione di Knights Of The Cross, sempre sinonimo di scorrerie metalliche e grande partecipazione collettiva del pubblico. Partecipazione che non manca di toccare livelli altissimi anche nella successiva Twilight of the Gods, pseudo-suite che affonda le proprie radici concettuali nelle opere del genio di Richard Wagner. Si torna a viaggiare tra le novelle di Poe con The Grave Digger, per poi approdare al ritornello dei ritornelli della produzione Grave Digger con la classicissima Rebellion che esalta tutti i presenti di San Paolo. Manni Schmidt si diverte a giocare col pubblico con il riffing di Rheingold prima che questa travolga le metalheads con il proprio impeto. I Grave Digger viaggiano su livelli altissimi, pronti per lo spettacolare epilogo affidato all’inno The Round Table e, come annunciato dallo stesso Chris Boltendahl, al primo pezzo della carriera della band: l’immancabile Heavy Metal Breakdown, detonazione conclusiva di entusiasmi che mette la parola fine allo show e il sigillo a questo disco dal vivo.

Per chi ha ama o ha amato i Grave Digger, questo è un acquisto più che obbligato. Chris Boltendahl non è nella serata migliore ma tiene banco in maniera più che soddisfacente. Manni Schmidt, giorno dopo giorno, sembra essere l’ascia ideale per il becchino, addirittura più di quanto lo sia stato Uwe Lulis nei tempi addietro. Le linee ritmiche di Stefan Arnold sono lineari ma trascinanti, e i suoi modi dietro le pelli possono ormai godere dello status di “marchio di fabbrica” della band. Jens Becker e Hans Peter Katzenburg fanno il loro solito sobrio lavoro di supporto completando una formazione che sembra aver trovato un assetto davvero ottimo.

Certo, vedere Tunes of War rappresentato soltanto dai due singoli lascia un po’ l’amaro in bocca, soprattutto alla luce del fatto che The Ballad of Mary avrebbe reso davvero molto con il caldo pubblico brasiliano e allal luce del fatto che il punto più debole di tutto il live sta proprio in una opener non all’altezza. Se poi vogliamo cercare il pelo nell’uovo, una Lionheart in più (magari al posto di The Curse Of Jacques) e una Ride On a supportare la causa di The Reaper non avrebbero di certo guastato, ma in ogni caso la scaletta è e resta di assoluto rispetto.
Meno d’impatto di Tunes of Wacken, dove Chris Boltendahl ruggiva in maniera più convincente, ma assai più ricco di contenuti (due ore e mezza di vecchie e nuove leve), 25 to Live è una festa meritata, un anniversario da ricordare, per una formazione onesta e sincera come poche.

Non un capolavoro, ma una prova massiccia e concreta: tanta musica, poche chiacchere, un bel pezzo di storia dello speed tedesco da sentire e risentire, tra immancabili conferme e sorprese degne dell’evento.

Per la prossima cerimonia, appuntamento al trentello, magari con un tredicesimo album alle spalle che ci faccia dimenticare in fretta il mezzo passo falso di The Last Supper.

Tracklist:

Disc 1
01. Passion
02. The Last Supper
03. Desert Rose
04. The Grave Dancer
05. Shoot Her Down
06. The Reaper
07. Paradise
08. Excalibur
09. The House
10. Circle Of Witches
11. Valhalla
12. Son Of Evil
13. The Battle Of Bannockburn
14. The Curse Of Jacques

Disc 2
01. Grave In The No Man’s Land
02. Yesterday
03. Morgane Lefay
04. Symphony Of Death
05. Witchhunter
06. The Dark Of The Sun
07. Knights Of The Cross
08. Twilights Of The Gods
09. The Grave Digger
10. Rebellion
11. Rheingold
12. The Round Table
13. Heavy Metal Breakdown

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

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