Recensione: 3
Nel corso degli anni se ne sono dette di cotte e di crude sul rock, un genere musicale che i più ritengono morto e sepolto: dunque vox populi e avanti a testa alta, si volta pagina verso nuove frontiere; o forse no?
Anno 2023, in una landa desolata, immersa nella nebbia, si intravede una lapide. Sulla fredda pietra erosa dal tempo avverso, si leggono queste parole: “In loving memories of hard rock”… In quella landa nefasta, pervasa da atmosfere cupe, quattro figure si stanziano di fronte al necrologio, pronti ad abbattere quelle parole che sembravano ormai incise nelle menti di tutti come una realtà immutabile. Sono i Damn Freaks e si presentano col loro nuovo album, intitolato semplicemente “3”, donando così al mondo una nuova diapositiva di quell’hard rock che tanto ci mancava: sarà il momento della rinascita?
Il disco apre alla grande con “The Land Of Nowhere”, che attraverso un sound pieno e corposo, ci trasporta quasi di fronte a quella lapide, in un silenzio reverenziale dal quale ci lasciamo catturare. Il rock che ci piace si sente tutto, in ogni strumento, e la cosa fa ben sperare; ma si tratta di vero amore o folle passione? “Where Is Love?” indaga su questo sentimento antico e profondo, già a partire dal testo, e con una sezione ritmica incalzante e costantemente serrata, che lascia poco spazio a momenti di riflessione. Generi come questo puoi amarli o odiarli, ma mai gettarli nella polvere. L’ascolto prosegue con un bel riff vecchia scuola, che non potrà che trascinare l’ascoltatore sui passi del ritmo, facendolo sentire come in estate, quando i piedi nudi calpestano la sabbia ardente, provocando quel misto di dolore ed euforia che tutti abbiamo provato almeno una volta.
Rapiti da queste sonorità che quasi avevamo dimenticato, ci accorgiamo di una presenza che si palesa di fronte a noi, fuoriuscita da quel giaciglio antico: “My Resurrection” riporta alla luce lo spirito hard rock, ammonendoci per la nostra lealtà mancata: la batteria potente e incalzante fa pensare a un padre iracondo, irato e pronto a colpire, sostenuta da linee vocali esplosive e dal dente avvelenato. Restiamo per qualche istante storditi da questo attacco improvviso, ma poi ci accorgiamo che, in realtà, quelle che ci parevano grida di rabbia, non erano altro che parole melodiose: “You Ain’t Around”, letteralmente “Non ci sei” si presenta come prima traccia lenta del platter e l’effetto malinconico e riflessivo richiamato già dal titolo si palesa immediatamente. Ogni componente colpisce come una freccia dritta al cuore, letale e precisa allo stesso tempo; impossibile restare passivi di fronte ad una melodia del genere, provare per credere.
Di tutt’altra pasta è la successiva “Damn Burning Mercy”, che riporta l’ascolto su binari più rockeggianti: la testa si muove a tempo, le dita si alzano a formare le iconiche corna e si torna indietro agli anni Ottanta: Let’s Rock! Siamo completamente vittime di questi quattro ragazzacci, che non sembrano intenzionati a darci tregua: la successiva “My Time Is Gone”, è tutt’altro che acqua fresca sotto il sole torrido dei ricordi: veniamo avvolti di nuovo da riff energici, ben sorretti dalla solita voce iconica di Giulio Garghentini, che tanto richiama le vecchie glorie che calpestavano i palchi gremiti di folle impazzite, quando ancora il rock era pura linfa vitale.
Ripercorrendo questo nostro viaggio possiamo affermare che ogni nostra perplessità sulle reali condizioni di questa nostra amata musica sia ormai fondata; ma se ci sbagliassimo? “Nothing True” è l’ennesimo tassello che i Damn Freaks mettono sulla strada della nostra redenzione: rock, rock e ancora rock, di quello suonato davvero bene, con linee vocali pulite e melodiose che spiazzano nel ritornello, la batteria che quasi intona un inno e la chitarra perfettamente ricamata intorno a questo pezzo, che anche stavolta coinvolge fino all’ultimo minuto. Da sottolineare come il titolo seguente risulti alquanto iconico, essendo il viaggio al centro di questo percorso che abbiamo intrapreso: “Crazy Ride” riassume infatti alla perfezione ciò che ogni appassionato dovrebbe avere nel sangue: follia e tanta voglia di viaggiare, birra alla mano, tra concerti di ogni sorta e genere. Tra follia e sregolatezza, siamo giunti al capitolo finale di “3”. “Walking The Wire” ci lascia in equilibrio su un filo sottilissimo, quello della strada che sceglieremo di percorre: possiamo riabbracciare la vera anima del Rock, oppure lasciarlo giacere all’ombra delle vecchie glorie.
I Damn Freaks si sono dimostrati degni portavoce delle fiamme ardenti che un tempo infiammavano gli animi, dando vita ad un buonissimo album di puro hard rock, lasciando però una porta socchiusa verso un futuro ancora misterioso del quale non conosciamo l’identità.