Recensione: 34CE

Di Claudio Casero - 21 Giugno 2003 - 0:00
34CE
Band: Undertow
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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69

Gli Undertow giungono con questo “34CE” al loro quarto lavoro, il secondo prodotto dalla Silverdust (l’altro si intitolava “Unit E”), con alle spalle anche un album autoprodotto uscito nel 1997 (“Slope”) e un cd prodotto dalla Subzero (“Warm on E” 1999).
Il trio tedesco è composto da Joachim Baschin (voce, chitarra), Thomas Jentsch (basso) e Oliver Riger (batteria) ed ha avuto nell’incisione e nel mixaggio dell’album l’aiuto di Roger Gruninger alle chitarre che ha dato un apporto essenziale alla buona riuscita del progetto, così da farlo diventare più bilanciato e completo dei suoi predecessori.
Il combo teutonico si dedica ad un gothic abbastanza atipico con alcuni episodi squisitamente thrash e brani completamente strumentali.

Dopo un’intro strumentale (“Fire walk with me”) di chiarissimo sapore thrash alla Slayer anche se con suoni più moderni, inizia l’album vero e proprio con la titletrack “34CE”; questa è una canzone che accosta la rudezza delle chitarre distorte presenti nel nu thrash (alla Machine Head tanto per intenderci) al cantato tipicamente gothic con una voce con poche variazioni di intensità e di tonalità che, con un discreto utilizzo di effetti, diventa alla lunga quasi angosciante. Il tutto è condito da un ritmo molto lento e cadenzato quasi a dare peso ad ogni singola nota eseguita dagli strumenti fino a rendere il sound claustrofobico ma al tempo stesso coinvolgente.
In “Captured” il ritmo cresce notevolmente soprattutto se paragonato al precedente brano; in questa canzone infatti Joachim canta decisamente più convinto e rabbioso fino a giungere in alcuni punti ad un urlato che molto si avvicina al growl per poi tornare alla voce monotona e angosciante che lo contraddistingue in quest’inizio di cd. In alcuni momenti però il brano riprende la goticità persa nei momenti thrash e la porta avanti in maniera alquanto piacevole con spunti sia dal punto di vista vocale che musicale che ricordano i portoghesi Heavenwood di “Swallow”.
La seguente “Stand by” è una tipicissima canzone thrash alla Machine Head nelle strofe e negli assoli con qualche chiaro riferimento al un sound dei conterranei Rage con chitarre estremamente rudi che non fanno nulla di strabiliante ma che fanno venir voglia di sentire come andrà avanti il brano; per quanto riguarda il ritornello invece ritorniamo a parlare di gothic con voce pulita e quasi lamentosa e ritmo potente ma di una lentezza quasi inesorabile.
L’inizio della successiva “The memories lie” lascia un po’ perplessi non fosse altro per l’utilizzo esagerato di effetti sulla voce di Joachim che viene modernizzata a tal punto da ricordare quella di Marylin Manson in alcuni suoi brani; tutto ciò dura poco e viene tratto un sospiro di solievo quando inizia il brano vero e proprio; questo può essere definito un “lento” dal momento che le chitarre con riff granitici suonano gli accordi con una lentezza impressionante seguiti da un ritmo di batteria abbastanza semplice e comune che però rende perfettamente all’interno della canzone. Il brano è poi completato da una voce carichissima di effetti (soprattutto chorus n.d.r.) ed inesorabile nel dare l’idea di rozzezza e potenza al tempo stesso.
“Genderation” non porta molto di nuovo alle nostre orecchie; è una canzone gothic abbastanza classica con l’unica innovazione di un coro complesso che dà un’idea di pienezza musicale e, sinceramente, è l’unico ritornello di tutto l’album che rimane in testa alla fine di un primo sommario ascolto; possiamo dire che ci sono buoni spunti che potevano però essere usati meglio; non fraintendetemi la canzone si lascia ascoltare piacevolmente.
Dopo alcuni secondi in cui sentiamo parlare una voce maschile con un tono quasi di rimprovero, parte “Missing link” una canzone thrash che ricorda molto i Metallica del “Black album” soprattutto per quanto riguarda le chitarre e la voce di Joachim nelle strofe che in alcuni momenti potrebbe essere benissimo confusa con quella di Hatfield. Tutto ciò però non vale per quanto riguarda i ritornelli dove il combo tedesco sposta il suo sound verso lidi più gotici con cori molto completi e abbastanza coinvolgenti soprattutto grazie all’utilizzo di effetti che non stonano mai con il resto del brano.
Qualche altro secondo di parlato ci introduce nella successiva “W.O.T.” una bella canzone di vero thrash americano con parti di batteria molto veloci e aggressive che non perdono mai di incisività aiutate da una chitarra che “morde” l’aria grazie ad una distorsione che non risulta mai monotona o pesante. La voce, molto simile a quella di un Chuck Billy dei primi tempi, esprime un’incredibile potenza e precisione negli stacchi e non perde mordente nemmeno nelle parti più lente e quasi gothic.
Con “Bush Do” torniamo in territori decisamente più gotici con un brano che rispecchia il sound delle prime canzoni dell’album senza nulla di particolarmente eclatante né innovativo.
Il masterpiece si conclude con “Flashover” in cui abbiamo un felicissimo matrimonio tra un thrash rozzo e molto veloce che farebbe agitare la testa anche alle persone più tranquille e un gothic calmo e pacato che sembra quasi mirare a far riflettere l’ascoltatore; è appunto questa alternanza di parti veloci e parti molto più riflessive che fa apprezzare maggiormente questo brano grazie anche ad una voce che raramente cade in sbavature di qualsivoglia genere.

In conclusione, gli Undertow con questo “34CE” raggiungono decisamente una maturità artistica notevole con una pienezza di suono che raramente all’interno del cd lascia a desiderare. Non gridiamo al miracolo ma possiamo sicuramente dire che si tratta di un album di discreto gothic con ottime influenze thrash che ogni tanto la fanno da padrona.

TRACKLIST:

1. Fire walk with me
2. 34CE
3. Captured
4. Stand by
5. The memories lie
6. Genderation
7. Missing link
8. W.O.T.
9. BushlDo
10. Flashover

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