Recensione: 3eesus
La scena tricolore negli ultimi lustri ha spesso dimostrato insospettabile profondità e diversificazione, restituendo un’istantanea colma di talento e valori importanti.
Una crescita piuttosto omogenea in quasi tutti gli ambiti musicali orbitanti attorno ad heavy e rock nelle più svariate sfumature del caso che, quando riferita a territori più peculiari e di confine come sludge e stoner, riesce ad emergere con ancor più vigore, mostrando un’abbondanza di uscite tale da competere con la mitizzata ed iconica potenza americana.
I capitolini Beesus, band dal moniker anomalo ed insolito come la musica da loro elaborata, si posizionano decisamente in questo contesto, a fronte di una miscela sonora infarcita da suggestioni stoner, sludge e doom cui si addiziona una fortissima componente psichedelica.
Ignoti sinora alle nostre orecchie, con “3eesus” conseguono il rispettabile traguardo del terzo capitolo discografico, consegnando al pubblico di appassionati un disco dai risvolti controversi ed ermetici, segnati probabilmente dai recenti stravolgimenti di formazione che ne hanno modificato radicalmente i connotati.
Emblematico, come accennato dalla biografia, l’artwork di copertina, un dipinto di Max Ernst intitolato “L’Europa dopo la Tempesta” in cui, l’apparente tranquillità, lascia tuttavia presagire un evidente e rovinoso sconvolgimento.
Attualissimo e quasi profetico, dato il periodo storico in cui ci troviamo attualmente immersi, il tema è ugualmente calzante se rapportato a quanto il terzetto ha cristallizzato nei solchi di questo nuovo album, caratterizzato da una forma strutturale ansiosa e non del tutto focalizzata sulla strada da intraprendere.
Un nuovo inizio che, come spesso accade, reca con se qualche incertezza e si muove quasi per tentativi. L’impressione che veicolano i Beesus è, in sostanza, proprio quello di una band dotata di capacità penetranti e solide ma che, nonostante tutto, non riesce ad inquadrare in pieno l’obiettivo.
Il risultato, infatti, appare dispersivo e traballante: se da un lato emergono pezzi lisergici e ribollenti come “Reproach” e “Suffering Bastards” o genialmente ipnotici come “Sand for Lunch”, in grado di rivaleggiare con i paradigmatici Kyuss o i pioneristici Acrimony, dall’altro sbucano celebrazioni dell’assurdo come “Gondwana” – dilatata al limite del parossistico – e “Sacoph“, finale un po’ caotico che da l’idea più di una jam session tra amici che non di un brano dotato di un proprio senso compiuto.
Registrato in presa diretta (il che non è necessariamente un male), “3eesus” soffre probabilmente della natura transitoria di cui è frutto, recando con se una sensazione di provvisorietà che l’anima sperimentale generata da un’espressività volutamente “libera” maschera solo in parte.
Un organico, da sempre, dopo un periodo di rivoluzione richiede qualche tempo prima di andare a regime. È necessario affinare i meccanismi e sintonizzarsi su di un obiettivo che vada oltre alla semplice improvvisazione.
Interessante ad esempio il tentativo di utilizzare più voci, così come sempre percepibile la potenzialità di fondo che, pur rimanendo in parte inespressa, non sfugge ad un attento ascolto.
Elementi, indizi, basi che offrono comunque certezze per una seconda vita artistica incoraggiante, che non possiamo che auspicare meglio focalizzata e mirata rispetto a questa altalenante ripartenza.