Recensione: 666 International

Di Alberto Fittarelli - 27 Ottobre 2006 - 0:00
666 International
Etichetta:
Genere:
Anno: 1999
Nazione:
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88

Il freddo cibernetico è forse una delle tendenze più affascinanti emerse
negli ultimi anni nell’ambito del metal estremo, è innegabile. Dove una volta
era il fascino dell’elemento naturale a colpire l’ascoltatore, ma prima ancora
tutta una fascia di creativi perlopiù scandinavi, successivamente è stato
l’elemento sfuggito di mano all’uomo a sconvolgere la psiche di questi stessi
musicisti, con risultati forse ancor più affascinanti.

I norvegesi (c’era da specificarlo?) Dødheimsgard, sbucati dalla
scena più veracemente black metal nel 1995 con il grezzo e spontaneo Kronet Til Konge,
giunsero nel 1999 a un’evoluzione praticamente incomparabile a un qualsiasi
altro act musicale del tempo, pubblicando coraggiosamente (dopo lo splendido
black al silicio del mini Satanic Art) questo 666
International
: oltraggioso, gelido, grottesco e precursore di un intero
filone, il disco si presenta come un passo avanti enorme nell’ambiente black
metal, dove queste 2 parole hanno ragione di esistere solo a tratti, e molto
spesso è il colore delle atmosfere (il ‘black’, appunto) ad essere giustificato
più della dicitura ‘metal’.

La violenza non manca, intendiamoci. È violenza sonora, certo: quella delle
chitarre, filtrate all’eccesso e supportate da una batteria secca e assassina, o
della voce del folle Aldrahn, abrasiva come ai temi era raro trovare. Ma
è anche violenza verbale, morale: quella di concetti che superavano le barriere
autoimposte in pieno stile ‘metal’, andando a collocarsi al di fuori di ogni
catalogazione e confine. Una violenza che paga in termini di creatività, di
immagini trasposte in note, di visionarietà, di emozioni: un caleidoscopio
rotto, capace di trasmettere migliaia di sfumature dello stesso freddo colore,
ma non per questo meno appassionante. Dall’apertura della rutilante Shiva
Interfere
, col suo piano schizoide (ripreso proprio da Satanic Art),
che tornerà a più riprese durante il disco (come in Carpet Bombing);
alla sovrapposizione di generi e atmosfere, sullo schema musica classica/beat
tecnologico/riff black metal; alla recitazione condita da campionamenti
utilizzata (ricordiamolo, è la prima volta nel black metal) come elemento
strutturale del disco. Tutto è geniale, tutto è nuovo e resterà nella storia
di questo stile musicale.

Gli allucinati cambi ritmici di Regno Potiri danno corpo alle visioni
più malate del disco, mentre il battito industriale non accenna a diminuire e
colori plumbei creano un quadro che si vuole tornare a svelare, di volta in
volta, di ascolto in ascolto. L’atmosferica Final Conquest affonda la
propria disperazione nell’urlo di Aldrahn, “Twisting around your strangest feelings
/ Like something with crowns and crocodiles”
. Tra gli intermezzi
assurdamente atmosferici di Logic e Magic si incastra l’episodio
più feroce del disco, quella Sonar Bliss che contiene in sè tutti gli
elementi base dell’extreme metal futuristico dei Dødheimsgard, e persino
qualche suono “nascosto”, proveniente dal mondo dell’informatica, per
terminare nell’ultimo brivido, una Completion che chiude il cerchio
Il tutto in 66 tracce (ovviamente), di cui 10 (più una, la hidden track)
contenenti musica, il resto silenzio. Non gelido quanto la loro musica, ma di
effetto.

Una band che ha anticipato tutti, forse di troppo: tanto che solo oggi se ne
prospetta un ritorno sulle scene, dopo anni di oblio: da qui sono nate le
contaminazioni odierne, loro hanno saputo creare una scuole, come un pugno di
altri connazionali nelle rispettive avanguardie (Emperor, Solefald,
Ulver). Irripetibili e irripetuti: i Dødheimsgard restano, ad
oggi, un unicum da gustare come il vino di un’ottima annata.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Comprimere in un solo album il lascito intellettuale di alcune tra le star più rinomate del panorama black norvegese può essere un’operazione pericolosa: anche se non sono mai riusciti a suonare contemporaneamente nella stessa produzione, l’ecletticità di artisti quali Fenriz, Alver, Galder, Aldrahn, Inferno e Czral ha influenzato enormemente il percorso dei
Dødheimsgard, nati nelle miniere del black metal più rigido e terminati nel manicomio sonoro di
666 International.

La copertina è già il primo segnale d’allarme: una struttura fredda, asettica, di metallo e vetro, con un fiume di sangue che cola attraverso una grata: è la follia che esplode all’interno degli schemi rigidi e prefabbricati della modernità, a fronteggiare la quale nessuno è preparato.
Ed è proprio la follia il punto chiave di 666 International: una mistura schizofrenica di black metal allo stato brado e di chitarre distorte, inserti techno, pianoforti decadenti e dosi massicce di industrial e ambient ha generato un caos tentacolare perfettamente controllato, come mai era accaduto prima nella storia del black metal.

Le dosi proposte in questa ricetta maniacale sono tutt’altro che equilibrate: se in
“Ion Storm” la brutalità scatenata manda in saturazione la maggior parte delle piste audio, in
“Carpet Bombing” è solo un pianoforte a solleticare l’aria, pianoforte che invece di rilassare propaga una sensazione di disagio allorquando alcune note iniziano a non suonare più in modo corretto e dei brevi intermezzi stonati procurano uno stato patologico di tensione, reiterata anche nei due successivi passaggi strumentali che tentano di stabilizzare l’ambiente sonoro senza riuscirvi precisamente.

Tutto è infatti annullato dal cooperare infernale di tanti generi differenti che cozzano continuamente tra loro: scordatevi il black canonico alla
Kronet til Konge, scordatevi il black tecnico e moderno dei Thorns, scordatevi anche l’avantgarde dei Borknagar o dei Solefald. Questi sono Arcturus impazziti, Mayhem fuori di testa, Enslaved furiosi che raccolgono tutti i frammenti più innovativi del black metal degli anni 90 e li amplificano centinaia di volte, trascinando nel loro gorgo tutta l’esperienza delle mani che hanno prestato servizio nel mostro Dødheimsgard.
L’avantgarde moderno ha completamente perso questa lettura della musica, associando il sintetico all’ambient malinconico e melodico. Qui l’elettricità diventa schiava della furia, come mai s’era sentito fin dai tempi dei Ved Buens Ende, e viene incanalata dalla voce a volte tronfia come quella di un troll e a volte lacerante come il canto di un coltello che taglia l’acciaio di Bjørn Dencker Gjerde, vero eroe dell’ambiente che di recente ha trascorso diversi mesi in un centro di riabilitazione psicologica.

Spiegare esattamente cosa avviene all’interno di quest’album è difficile quanto spiegare l’evoluzione di un rogo: le fiamme mutano forma a ogni alito di vento, esattamente come le tracce di questo CD. Non c’è qualità di cui parlare, perché qui si parla di genio quasi allo stato puro, diviso tra le intense coreografie che imbrigliano brutalità e neoclassicismo strumentale e le trame liriche totalmente fuori da ogni schema logico.
666 International è un viaggio perverso e furioso che rimarrà un esempio quasi unico nel suo genere per ancora molti anni, e che raccoglierà le ire dei puristi di qualsiasi genere musicale, black metal in primis.

Avanguardistico anche nella forma fisica, quest’album consta di 66 tracce, di cui 56 vuote e una nascosta; la sua durata totale è di 66 minuti e 6 secondi, e il titolo doveva originariamente essere composto dall’anno di uscita (1999) rovesciato e completato (666-1nternational).
Amato dai propri compositori – che hanno visto realizzarsi tutte le proprie perversioni più intime grazie anche a una compiacente Moonfog – e criticato da una vasta corrente di estremisti che si sono visti sbattere in faccia il VERO significato della parola estremo, quest’album è un piccolo pezzo di storia che avrà bisogno della comunione di altrettante menti celebri per ripetersi: in tal modo vedremo allontanarsi i limiti del black avantgarde di un’altra manciata di centimetri, verso quella sideralità appena sfiorata, e forse sognata, dalle ultime produzioni di terra norvegese.

Daniele ‘Fenrir’ Balestrieri

TRACKLIST

1 Shiva Interfere 9:10
2 Ion Storm 4:20
3 Carpet Bombing 2:25
4 Regno Potiri 10:19
5 Final Conquest 5:59
6 Logic 0:59
7 Sonar Bliss 7:39
8 Magic 1:42
9 Completion 6:28
10 [silence] 0:10
11 [silence] 0:11
12 [silence] 0:07
13 [silence] 0:09
14 [silence] 0:08
15 [silence] 0:07
16 [silence] 0:05
17 [silence] 0:06
18 [silence] 0:08
19 [silence] 0:05
20 [silence] 0:07
21 [silence] 0:05
22 [silence] 0:06
23 [silence] 0:04
24 [silence] 0:05
25 [silence] 0:06
26 [silence] 0:06
27 [silence] 0:05
28 [silence] 0:08
29 [silence] 0:06
30 [silence] 0:05
31 [silence] 0:04
32 [silence] 0:09
33 [silence] 0:05
34 [silence] 0:05
35 [silence] 0:04
36 [silence] 0:06
37 [silence] 0:07
38 [silence] 0:04
39 [silence] 0:06
40 [silence] 0:08
41 [silence] 0:06
42 [silence] 0:07
43 [silence] 0:05
44 [silence] 0:04
45 [silence] 0:06
46 [silence] 0:05
47 [silence] 0:04
48 [silence] 0:05
49 [silence] 0:05
50 [silence] 0:04
51 [silence] 0:04
52 [silence] 0:04
53 [silence] 0:06
54 [silence] 0:06
55 [silence] 0:07
56 [silence] 0:05
57 [silence] 0:05
58 [silence] 0:05
59 [silence] 0:05
60 [silence] 0:05
61 [silence] 0:04
62 [silence] 0:05
63 [silence] 0:08
64 [silence] 0:04
65 [silence] 0:06
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