Recensione: 777 – Cosmosophy

Di Matteo Concu - 8 Novembre 2013 - 9:00
777 – Cosmosophy
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2012
Nazione:
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82

Separati alla nascita: questo sembrano di Justin Broadrick, mastermind dei Godflesh, e di Vindsval, mente dei Blut Aus Nord, almeno ascoltando “777 – Cosmosophy”. Dopo il ritorno sulle scene dei Godflesh, infatti, i Blut Aus Nord hanno dato alle stampe, nel giro di un anno e mezzo, una trilogia che ha molto a che spartire con il suono della band Britannica.

Le loro strade si sono incrociate dopo l’uscita di “The Work Which Trasforms God”, dove la componente black metal si fondeva con l’andamento meccanico della drum machine, unito ad atmosfere industriali e glaciali. Tutto ciò non poteva che riportare alla mente i suoni di fabbriche dismesse presenti negli storici “Pure”, “Streetcleaner” e “Selfless” dei Godflesh. Vindsval, dopo “The Work Which Trasforms God”, continuò su queste coordinate, partorendo gli acerbi “MoRT” e “Odinist – The Destruction of Reason by Illumination”, che potrebbero ricordare l’operato dell’act francese P.H.O.B.O.S. in cui la corrente black metal si fonde con l’industrial e il doom, creando un tappeto ritmico lento e ipnotico, pregno di atmosfere nere e caustiche.

Ora, con quest’ultima trilogia, Vindsval ha preso tutto il meglio che aveva prodotto e l’ha decostruito e ricostruito dandogli nuova linfa e qualità sotto tutti i punti di vista. “777 – Sect(s)” era una sorta di versione migliorata e arricchita di “The Work Which Trasforms God”, mentre “777 – The Desanctification” riprendeva le atmosfere ipnotiche di “MoRT”, portandole a un nuovo livello qualitativo.
Questo “777 – Cosmosophy” si ricollega all’andamento del precendente aggiungendo ingrendienti nuovi, ad esempio le voci pulite e i ritmi trip-hop. Elementi vecchi e nuovi funzionano perfettamente negli ingranaggi del suono dei Blut Aus Nord, tanto che i 5 brani sono un unico blocco omogeneo, come un’unica suite di 46 minuti scarsi. Provate a immaginare un’orgia meccanica con Godflesh, P.H.O.B.O.S, Deathspell Omega e Manes di Vilosophe. I suoni inumani prodotti da quel frastuono robotico potrebbero ricordare i solchi di “777 – Cosmosophy”.
Cartina tornasole del disco potrebbe essere il secondo brano in scaletta, “Epitome XV”, introdotto da un ritmo trip-hop che a un primo ascolto potrebbe far storcere il naso anche all’ascoltatore più navigato. Dopo un po’ di ascolti, però, si capirà la carica fortemente epica e solenne data dal testo e da quel ritmo. Il testo, inoltre, è l’unico a esser presente sul booklet, probabilmente non a caso.
Il resto del disco si mantiene su coordine epiche e industrialoidi, come un viaggio in bianco e nero nell’antro più oscuro della storia umana. Come robot istruiti a riproporre in musica la distruzione e l’annichilimento della natura e degli stessi esseri umani. 

Un finale di trilogia che sicuramente non porterà a una conclusione del percorso industrial dei Blut Aus Nord, ma a nuove e pazzesche cattedrali nel deserto. Un esempio potrebbe essere “What Once Was… Liber III”, dove i collegamenti con “777 – Cosmosophy” sono abbastanza evidenti, anche se spinti in chiave più black/death che industrial/doom. 
“777 – Cosmosophy” è probabilmente il miglior parto uscito a marchio Blut Aus Nord, un nuovo stadio evolutivo che miriadi di band cercheranno, sicuramente, di raggiungere e imitare.

Matteo Concu

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