Recensione: 9 Degrees West Of The Moon

Di Daniele D'Adamo - 24 Gennaio 2009 - 0:00
9 Degrees West of the Moon
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Anno: 2009
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88

Dopo “The 25th Hour”, ultimo album dei nostrani Vision Divine, e la successiva dipartita dal gruppo stesso del cantante Michele Luppi, rimpiazzato nel 2008 da Fabio Lione, arriva negli scaffali dei negozi specializzati la nuova fatica di Olaf Thorsen & Co.: “9 Degrees West Of The Moon”. Full-length concepito per la maggior parte da Olaf stesso (con il contributo di Fabio Lione, per quanto riguarda le linee vocali, e del tastierista Alessio Lucatti) e Federico Puleri (per quanto riguarda alcuni specifici brani), prodotto dall’esperto Timo Tölkki. il disco si avvale anche delle prestazioni di Cristiano Bertocchi e Alessandro Bissa.

Entrando nel merito di “9 Degrees West Of The Moon”, bisogna sottolineare come la definizione “power metal” sia ormai stretta: la varietà delle canzoni e la loro poliedricità, il loro sound moderno ma nel contempo la loro impostazione classica, conducono a un’opera che sfugge a una classificazione in un sottogenere qualsiasi, per abbracciare un ampio spettro delle caratteristiche peculiari che il metal moderno possiede.
Tuttavia, e questo è uno dei maggiori punti di forza del lavoro, le strutture alla base dei singoli brani denotano un’unica mano edificatrice, un unico filo conduttore che le attraversa e che le lega, cucendo insieme le scaglie di un sound maturo, sicuro, personale, forte, deciso, assolutamente caratteristico e unico.

Il disco viene aperto da “Letter To My Child Never Born” (“I just want this pain – To be part of me – This is all for you – My poor child never born…”), che dimostra immediatamente la classe cristallina del songwriting. Si inizia avvolti da una fredda atmosfera lunare, la cui componente aliena è sottolineata dai vocalizzi che preparano l’entrata della batteria, colonna portante della prima parte del brano. Lione appare subito a suo completo agio con le armonie di Thorsen, cantando con spessore e profondità. Armonico e languido il ponte, sofferto ed epico il ritornello, di ampio respiro e irrobustito dai cori. A metà i ritmi rallentano, con piano e tastiere che, assumendo un tono più intimista arricchito dal cantato, fanno da trampolino di lancio al successivo, stupendo assolo di chitarra solista, seguito poi da quello di tastiera.
La seconda canzone è “Violet Loneliness” (“If I’d be born again – I’d be a swan, I’d fly away – to the horizon, with breeze in my face – Goodbye”), che già dall’introduzione svela la sua natura di potenziale singolo. Il verso è semplice e lineare ma dotato di una armoniosità calda, morbida e coinvolgente. Il ponte collega adeguatamente il verso al dirompente ritornello, che si insinua dolcemente nel cervello per non uscirne più. Dopo l’assolo di chitarra, centrato e cristallino, è il momento di una parte lenta e lirica, che arricchisce ulteriormente il brano.
Si passa quindi a “Fading Shadow” (“Tell me – Why don’t you talk to me? – I’m nothing but – A fading shadow”): brano potente e massiccio, che si avvale di un compatto e continuo sottofondo prodotto dalle tastiere. Dopo una strofa pulita e ariosa, il tono aumenta progressivamente di intensità, per confluire in un ritornello difficile e poco orecchiabile, ma non per questo non affascinante. Notevoli gli assoli di chitarra e di tastiera, che si rincorrono, sovrapponendosi, fra cascate di note classiche ed argentine.
Languida e melanconica l’introduzione di “Angels In Disguise” (“Behind an old man – A young child laughing – We’re Angels in disguise”), canzone dal ritmo sinuoso, dove le qualità canore di Lione trovano il loro naturale sfogo. A partire dalla dolcissima strofa sino all’esplosivo ritornello, è un tutto crescendo di intensità, armonia, potenza, profondità. Sempre in primo piano le tastiere, arricchite dagli archi nei momenti più intensi, e la chitarre, impegnate in assoli dal tono vagamente triste. Si tratta di un’impressione che resterà costante nell’intero lavoro.
La quinta canzone, “The Killing Speed Of Time” (“The Infinite: what’s that? – Something we can touch”), è un caso a sé stante di furioso Speed Metal, che spicca in quanto inserito in un contesto più specificamente intimista ed introspettivo. Qui, il ritmo sale vertiginosamente per sostenere l’insolito cantato sporco ed aggressivo di Lione che, tuttavia, in occasione del ritornello, riprende la sua caratteristica di melodiosità e pulizia. In linea con lo spirito della canzone, le parti di chitarra, di tastiera e la sezione ritmica (granitica nell’uso del basso da parte di Bertocchi), impetuose e violente.
Si arriva quindi al pezzo che, a parere di chi scrive, è il momento di spicco dell’album: “The Streets Of Laudomia” (“And when the Oceans will be dry – Still we’ll be here in Laudomia”), ispirata al libro “Le Città Invisibili” di Italo Calvino. Aperta dalla clamorosa melodia vincente elaborata da Thorsen, la canzone sale immediatamente verso le più alte vette musicali, dove solo chi possiede classe adamantina riesce ad arrivare. La strofa è magnifica, cantata in maniera superba ed accorata da Lione, e si collega al ritornello, immane, con passaggi potenti ed armonici. Assoli sia di chitarra (memorabile) che di tastiera impreziosiscono il brano in maniera unica e sopraffina. Davvero una canzone eccezionale, completa, che riesce ad arrivare dritta al cuore, dove nascono le emozioni.
Subito dopo, “Fly” (“Fly, now I fly – And the night is no more part of my life”) che, nonostante debba aver la responsabilità di seguire “The Streets Of Laudomia”, dimostra di avere ottime carte da giocare, soprattutto nel ritornello, originale, variegato e di non immediata assimilazione. Da sottolineare il lavoro melodico svolto dalle chitarre, che tessono con continuità il motivo portante. Gli interventi di pianoforte e violoncello nobilitano il brano, donandogli eleganza e stile.
Di nuovo, la potenza cristallina di matrice hard rock fa capolino nell’introduzione di “Out In Open Space” (“Out into open space – open the gates of Time – Serenity will be mine”). Arioso e dai toni ampi il ponte, nuovamente vincente il poderoso ritornello, coronato da un coro robusto e cadenzato, che si rivelerà senz’altro un punto di forza del gruppo in sede live. Nella parte finale, dopo un intermezzo costruito dalle tastiere, si arriva al lacerante assolo di chitarra, subito incalzato dal ritornello, ripetuto varie volte per andare a fissarsi nella mente di chi ascolta.
Segue poi la title-track, “9 Degrees West Of The Moon” (“Infinite spaces are waiting for me beyond the curtain – Silence, so patient, will cradle my wonders – In quiet, so deeply, my fear will end its calling – And finally in peace forever I’ll ponder – I’ll always be there for you… Goodbye”). La canzone appare piuttosto singolare rispetto al resto del lavoro. Qui si rivela completamente il cuore di Thorsen, di Lione e del resto del gruppo. Le linee vocali, delicatissime, dolci, struggenti, sono interpretate in maniera sublime da Lione stesso, l’incedere generale è maestoso, potentissimo, le tastiere di Lucatti disegnano scenari di immensa vastità, colorando il gelido cielo lunare con toccanti toni di caldo colore.
Infine, la cover di “Touch Of Evil” dei Judas Priest, resa in modo personale ma fedele all’originale, che si allinea alle tinte malinconiche, a volte tristi, che caratterizzano l’album, e la versione demo di “Fading Shadow” (“Fading Shadow (demo version)”) che, riprodotta in maniera più ruvida rispetto a quella più sopra descritta, rende merito alla potenza che il gruppo è sempre in grado di generare.

In conclusione, “9 Degrees West Of The Moon” è un album magnifico, che a parere di chi scrive rappresenta il punto più alto, ad oggi, della carriera dei Vision Divine: il songwriting è vario, omogeneo, ricco, originale, classico, di spessore. Alcune canzoni sono memorabili, raggiungono apici di gran classe. Il sentimento, il cuore, le emozioni, sono finissime e profonde, e sono espresse in maniera impeccabile sia con la musica che con i testi. L’esecuzione è impeccabile, la produzione di livello internazionale. In sostanza… cosa chiedere di più?

Daniele D’Adamo

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Tracklist:
01. Letter To My Child Never Born  8:56
02. Violet Loneliness   4:42
03. Fading Shadow   5:20
04. Angels In Disguise   5:16
05. The Killing Speed Of Time  4:49
06. The Streets Of Laudomia  5.50
07. Fly     4:53
08. Out In Open Space   5:08
09. 9 Degrees West Of The Moon  3:56
10. Touch Of Evil    5:48
11. Fading Shadow (demo version)  5:17

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