Recensione: A Bare Reminescence Of Infected Wonderlands
Cosa verrebbe fuori dalla collaborazione tra Mikael Stanne, John Petrucci ubriaco, Mustis nel pieno della libertà compositiva e Garm, accompagnati da un pianista Jazz, un percussionista, un discepolo di Ravi Shankar, un virtuoso del violino, un dotato batterista Black ed un bassista progressivo? E se a questa bolgia di personaggi aggiungessimo una bottiglia di assenzio e la direzione artistica di Dani Filth e Claudio Abbado?
Probabilmente nascerebbe qualcosa di accostabile alla proposta degli Eloa Vadaath.
Ebbene, questo è stato il primo, incerto, pensiero sovvenutomi durante l’ascolto di “A Bare Reminescence Of Infected Wonderlands“, debut album dei rodigini Eloa Vadaath, band nata come studio project di Marco e Riccardo Paltanin e divenuta realtà viva e pulsante con la pubblicazione dell’album appena citato, un vero e proprio concentrato di stili ed influenze disparati, multisfaccettato e antiesteticamente interessante come un specchio rotto.
Per carpire maggiormente il significato del paragone presentato ad inizio recensione è necessario immaginare quale possa essere il risultato della fusione di sinfonie decadenti ed orecchiabili alla Cradle Of Filth e Dimmu Borgir con una voce principale di chiara derivazione Göteborg Style, aperture melodiche accelerate al limite del Power, vertiginose sperimentazioni strumentali e clean vocals che rimandano agli Arcturus di “The Sham Mirrors”, il tutto supportato da un vario ed elaborato rifferama e da una dose di tecnica decisamente degna di rispetto.
A definire ulteriormente l’estrema complessità stilistica del combo vanno ad aggiungersi inserti pseudo-folk, funambolici soli di chitarra e violino, voci femminili, violenti stacchi Thrash, schizofreniche elaborazioni strumentali dove il Jazz si fonde col Progressive e pompose aperture neoclassiche (eseguite da un’orchestra in carne ed ossa) che calzerebbero perfettamente come colonna sonora di un film di Peter Jackson.
Il colpo di grazia agli standard è dato infine dall’utilizzo di strumenti quali sitar, tabla e, come già accennato, il violino, che nel caso in questione risulta sovente il vero e proprio protagonista solistico delle composizioni.
Suoni potenti ed una produzione decisamente particolare (si pensi che l’intero album è stato registrato nelle sale di un antico monastero) riescono inoltre a conferire un’aura di rigore mistico e solido ad ogni singolo brano di questo “A Bare Reminescence Of Infected Wonderlands”.
Interessante risulta inoltre la scelta del moniker del gruppo, chiaramente derivato da Eloah Vadaaht, il nome divino associato al terzo Sephiroth (la bellezza) della Cabala Ebraica, con significato di “Dio manifestato attraverso la consapevolezza”.
Un artwork curato e lyrics capaci di spaziare tra tematiche di stampo esoterico, letterario e mitologico, vanno infine a completare un pacchetto che farà la gioia dei metallari più aperti e meno legati agli standard.
Il disco si apre con una breve intro strumentale, seguita repentinamente dalla decadente opener “Coalesce Part 1: A Perverter Among Tha Kaites” dove polverose melodie accostabili ai primi lavori della band di Dani Filth vengono supportate da brutali vocalizzi Death e da taglienti progressioni chitarristiche.
Una soffusa outro ci trasporta direttamente verso la seconda epica traccia del disco, “64 A.D. – Le Flambeau“, incentrata su un ottimo lavoro di violino, possenti esplosioni tastieristiche ed aperture vocali melodiche che tanto ricordano le prestazioni del succitato Garm.
A corredare il tutto troviamo escursioni folk, sperimentalismi jazzati e stacchi percussivi inaspettati.
Bastano i primi due brani (intro esclusa) a delineare sin da subito la mancanza di coordinate stilistiche fisse e la quasi totale apertura mentale della band. Con cotanta carne al fuoco sembra inevitabile che la sensazione di “minestrone musicale” si faccia largo nei nostri padiglioni auricolari, arrivando a confondere dall’interno la nostra materia grigia. A rigor del vero, a volte (es. in “Towers Of Silence“), le singole partiture sembrano non essere coese alla perfezione, tuttavia in linea generale (e in particolar modo nella prima parte del disco) l’amalgama fra di esse si stabilizza su livelli decisamente elevati.
Procedendo con l’ascolto, l’assenza di un genere definito, caratteristica principale della vaporosa definizione di Avantgarde Metal, si fa sempre più palpabile e segna il maggior pregio e purtroppo il maggior limite, da un punto di vista meramente di marketing, della band. Brani come “The Navidson Record“, “What Are You Seeng On Your Fork” ed “Uncontaminated“, pur essendo profondamente differenti, si muovono su coordinate astratte a priori, ma evidentemente ordinate nella mente dei mastermind nella band.
Durante l’intero lavoro si assiste infatti ad un susseguirsi di violenza, melodia e curiose sperimentazioni coese nel complesso in una sorta di unicum compatto e fluido, impossibile da descrivere a parole, ma abbastanza diretto e facile da ascoltare ed apprezzare.
Nota di valore va alla toccante title track, capace di affascinare mescolando tecnica, classe e potenza in modo decisamente accattivante ed alla conclusiva “Coalesce Part II” dove gli Eloa Vadaath si gettano su sonorità ibride tra lo pseudo-Goth di Nightwish e Lacuna Coil ed un Black Metal dall’incedere a volte lento e malinconico, altre rapido e tagliente.
La valutazione del disco è per questo buona e vuole fungere da incoraggiamento a perpetrare la strada intrapresa. Le caratteristiche della band sono quelle tipiche di chi si vuole mettere in gioco ad ogni costo, suonando la musica che ama e riuscendoci in modo personale ed originale, sebbene a volte dalla qualità altalenante, ma rimanendo pur sempre ben sopra la sufficienza anche negli episodi più traballanti. Poco importa infatti se qualche soluzione non scorre come dovrebbe, l’obiettivo “numero uno”, cioè creare un proprio sound, è raggiunto. Ora bisogna solo renderlo ancora più compatto e sperare che il pubblico recepisca in modo soddisfacente la proposta della band, rendendole il successo meritato.
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Line Up
Marco Paltanin: vocals, guitar, tabla, sitar
Riccardo Paltanin: violin, keyboards, vocals
Niccolò Cavallaro: bass, backing vocals
Mirko Cirelli: drums, percussions
TRACKLIST
1. Coalesce: A Murmuring Plight Of Nephilisms (Intro)
2. Coalesce Part I: A Perverter Among The Kainites
3. 64 A.D. – Le Flambeau
4. The Navidson Record
5. Elysian Fields
6. The Temptation Chronicles
7. What Are You Seeing On Your Fork?
8. Uncontaminated
9. Towers Of Silence
10. A Bare Reminiscence Of Infected Wonderlands
11. Coalesce Part II