Recensione: A Battle in the dark Lands of the Eye…
Leggendo un nome strano (Orthanc) vicino alla dicitura black è facile trarre delle conclusioni. Nel 90% dei casi quel black è più o meno atmosferico. Ora Orthanc probabilmente è un nome che non dice moltissimo ai più, ma chi ha letto il Silmarillion sa che Orthanc è la torre di Isengard. Insomma, si può supporre che ci troviamo innanzia a del black votato a celebrare il mondo di Tolkien. E in effetti i Keys of Orthanc, duo canadese giunto al secondo disco di studio, non fa nulla per nasconderlo.
“A Battle in the Dark Lands of the Eye…”, questo il chilometrico titolo del disco di cui oggi, ci saluta subito con un bel guazzo di Ted Nasmith in copertina. A scanso di ogni equivoco, guazzo è una tecnica di pittura con gli acquarelli, non intendiamo dire che l’artwork sia brutto. Nello specifico, poi, il guazzo rappresenta la dissoluzione di Sauron e il crollo del cancello nero di Mordor visti da Gandalf & co.
La copertina, comunque, ai Keys of Orthanc non basta. I nostri si dilettano pure con una canzone scritta in linguaggio nero – la penultima ‘Uruk agh brgûl’. E poco importa che il growl renda tutto indecifrabile, qua si premia lo sforzo filologico di recuperare una delle lingue create da Tolkien. Nella fattispecie una di cui l’autore non è che abbia lasciato molte testimonianze – la più famosa è ovviamente l’iscrizione sull’anello.
Per il resto, ci muoviamo su terreni noti. Alla title track, che fa da apripista e si rivela essere una gradevole strumentale folkeggiante, fanno da seguito cinque tracce in cui tutto è come ci si aspetta, black abbastanza sostenuto e megaepico contornato da arpeggi di chitarra volti ad assicurare un faro di melodia nella maestosa violenza imperante.
Elemento positivo di questo “A Battle in the dark Lands of the Eye…” sono le clean vocals, che ogni tanto si ergono maestose sullo sfondo dei desolati paesaggi creati dalla strumentazione. Clean vocals che non hanno la volontà di imporsi subito all’orecchio dell’ascoltatore, quanto piuttosto di passare per urla nel vento (dopotutto Saruman era uno che influenzava le tempeste urlando nel vento le sue formule magiche). Clean vocals che, soprattutto, ci fanno capire quanti siano al giorno d’oggi i nostalgici di Falkenbach: la somiglianza tra la sua voce e quella di Harslingoth ha dell’impressionante. Affascinante infine la conclusiva “A Dawn in Mordor”, outro strumentiale dalle tinte che sono un curioso mix di mestizia e marzialità.
Nel complesso “A Battle in the dark Lands of the Eye…” è un disco prevedibile ma comunque ben fatto, consigliato a tutti gli amanti del genere e praticamente a nessun altro, non perché ostico ma perché già noto. Nonostante alcuni consistenti passi avanti rispetto al debut, è difficile che i Keys of Orthanc riescano ad emergere nel saturissimo panorama del black atmosferico, comunque sia dalla loro hanno idee chiare e un’indiscutibile abilità di songwriting. Riuscissero a mischiare un po’ il black a quanto fatto sentire nelle strumentali la loro proposta ne trarrebbe giovamento. Si vedrà in futuro.