Recensione: A Blaze In The Northern Sky
Nel 1991 il Black Metal, ancora privo di una definita identità musicale, stà ancora muovendo i primi passi di una graduale crescita. Primi passi che portano il nome dei primi demo di gruppi storici di area scandinava quali -tanto per citarne i principali- Old Funeral [poi divisi in Immortal e Burzum], Mayhem, Mortem [poi Arcturus], Emperor, Beherit e appunto, Darkthrone.
Una graduale crescita di cui forse i Darkthrone sono l’esempio più lampante. I ragazzi dietro a questo gruppo infatti calcavano la scena estrema dal lontano ’86 quando Fenriz, al tempo ancora conosciuto con il suo vero nome, Glyve Nagell, fondò una band [prima con il nome di Black Death, un anno dopo con il nuovo monicker Darkthrone] ancora molto lontana dalle sonorità Black Metal che oggi conosciamo, inizialmente legata a influenze prima Thrash, poi muovendosi lentamente verso sonorità più Death, genere che in quegli anni andava per la maggiore anche in area scandinava, e guidato da gruppi come Dismember o Entombed.
Infatti, con il primo full-lenght “Soulside Journey” le coordinate musicali dei tre norvegesi [Fenriz, Nocturno Culto, Zephyrous e Dag Nielsen, che poi abbandonò il gruppo] si mantennero su questa linea, non cambiando rispetto ai loro primi demo.
Poco tempo dopo però, accantonato un nuovo album Death/Doom già pronto [quel “Goatlord” che dovrà aspettare 6 anni nel cassetto prima di essere pubblicato] i Darkthorne decidono di cambiare radicalmente stile: basta tecnicismi Detah, basta produzioni potenti, la musica dei Dartkthrone divenne ciò di più malvagio ed estremo si fosse mai sentito, dal punto di vista musicale ma soprattutto per l’attitudine “no compromise” che guidava i tre ragazzi.
La vera “rivoluzione” si ha, per l’appunto, solo nel ’91, quando la band, ispirata fondamentalmente da formazioni storiche come Bathory e –soprattutto- Celtic Frost, inventandosi allo stesso tempo un che di assolutamente innovativo, pubblicò quell’album che tanto fece scalpore e il cui titolo non poteva essere più azzeccato.
“A Blaze In The Northern Sky” cade improvviso, come un freddo macigno di malvagità. Grezzo, cattivo, con una prodzione approssimativa, riff gelidi come mai se ne erano sentiti e un impatto di immagine che avrebbe fatto scuola [centinaia di band hanno in seguito realizzato copertine con foto notturne in bianco e nero cercando, per lo più inutilmente, di riprodurre lo stesso impatto che ha quella di un “A Blaze In The Northern Sky” o di un “Transylvanian Hunger”]
Sebbene ancora non pienamente identificabile con il Black Metal che sarà loro proprio -quello che sarà perfezionato e codificato con i tre successivi lavori- i Darkthrone inventano un album dopo del quale parlare di Black Metal aquistò un significato.
Inutile citare celeberrimi brani come l’immensa “In The Shadow Of The Horn” o la terrficante title-track: l’intero album si regge sul semplice e cadenzato drumming di Fenriz [ma che pure non disdegna improvvise accelerazioni che ci fanno presagire il futuro della band] con i suoi solfurei cambi di tempo, su un riffing gelido, reso tale anche grazie a quella produzione sporchissima che i Darkthrone avevano intenzionalmente ricercato [e che diventerà il loro vero e proprio trademark], da una ritmica ancora in minma parte devitrice delle radici Thrash/Death, e dalla lancinante voce di Nocturno Culto, rabbiosa ma sopratutto disperata come mai prima.
Da alcuni ancora oggi considerato come la migliore produzione del gruppo norvegese, “A Blaze In The Northern Sky” è certmente un album indigesto per chi non sia un appassionato delle sonorità più grezze e sporche che fanno –al contrario- la gioia dei più “puristi” tra i blackster, ma possiede in ogni caso un indiscutibile valore storico sia per l’innovatività della proposta che per il contributo alla futura cristallizazione dei canoni del genere.
Certemente è il primo gradino di un evoluzione, quella dei Darkthrone, che è stata, al contrario di quanto affermano coloro che li accusano di un continuo autocitarsi, lenta ma costante attraverso tutte le loro produzioni, pur rimanendo sempre in quel solco prettamente Black Metal che loro stessi contribuirono a creare nel ’91 con questo fondamentale album.