Recensione: A Burnt Offering For The Bone Idol
Questa per me è una doppia gioia. Innanzi tutto gli Skyclad sono uno dei miei gruppi preferiti (così non mi nascondo dietro ad un dito) e poi so checertamente altre due persone vanno matte per loro(ulfe e lavazza vi riconoscete?).
In ogni caso, questo è un lavoro datato 1992 uscito per la noise casa di: tankard, kreator, running wild, coroner, mordred e ovviamente skyclad (ovvio che alcuni di questi gruppi o hanno cambiato casa discografica oppure non esistano più).
La prima traccia si chiama “War and disorder” è un intro di mandolino e violino che vengono pian piano sovrastati da suoni di guerra e sovrapposizione di discorsi degli “attori” della seconda guerra mondiale.
Si passa immediatamente a “a broken promised land” canzone assolutamente tirata, cosa che sarà per quasi tutto il cd dato che siamo di fronte ad un cd di thrash con incursioni di violino mandolini tastiere e stacchi acustici di chitarre. Una canzone contro qualunque forma di dittatura, sia di destra che di sinistra. Da notare che le “intrusioni “ del violino sono sia durante gli stacchi che nella canzone stessa dando un tocco in più alla canzone stessa (cosa che sentiremo anche nelle tracce successive).
“Spinning jenny” il nome è quello del primo telaio utilizzato nella prima fabbrica nel lontano ‘800.
La canzone è forse una delle prime avvisaglie di dove (a livello musicale) il gruppo sia intenzionato ad andare. Ha molto di più della ballata folk con le chitarre distorte che non una canzone thrash. Il testo una strana allegoria tra la macchina “the spinning jenny” e una morbosa storia di sesso.
“Salt on the earth” inizia con un vocalizzo di una donna seguito subito dal violino (suonato in questo cd da Fritha Jenkins) e inseguito, o meglio rincorso dal resto del gruppo in una cavalcata molto veloce. Contornata da stacchi e fraseggi tra violino e chitarra ritmica (Steve Ramsey e Dave Pugh). Canzone che (anche in questo caso sottoforma di allegoria) tratta temi moderni, pensare che questa canzone è stata scritta undici anni fa e ma la faccenda non è cambiata, un avvertimento riguardo a un principe che abita “…out of East…” e a quello che la terra subirà (non solo il genere umano ma anche la natura stessa, tema molto caro a Walkyier cantante e lyrics writer).
La quinta traccia è una ghost track, nel senso che non ha titolo, in ogni caso è una cameo strumentale che precede la sesta traccia.
“Karmageddon” una canzone leggermente più lenta di “salt on the earth” ma comunque sempre veloce e potente. Dilemma del dopo morte e di quale sia la “verità” ultima delle religioni (altra tematica di pieno interesse del cantante, dichiaratamente pagano da anni, non certo come altri personaggi che hanno fatto dichiarazioni simili solo per sensazionalismo)
“Ring stone round” lento molto evocativo e rilassante, la voce viene accompagnata da una chitarra a dodici corde ed una classica, basso (penso acustico) cori della violinista/tastierista. Canzone che racconta di un circolo di pietre, non voglio aggiungere altro, perché sicuramente rovinerei l’atmosfera della canzone.
Traccia successiva “men of straul” le chitarre ricreano le sonorità di un flamenco “distorto” prima di entrare nel vivo della canzone, carica di strani effetti sia sulle chitarre che sulla voce, quasi da alienare la canzone. Esplodendo comunque in una canzone carica di rabbia, sia musicalmente che a livello di lirica, stemperata lievemente da uno stacco aperto dal violino e seguito da una linea di basso più accattivante, miscelando tutto con un assolo fatto con la chitarra classica. Canzone denuncia sullo sfruttamento minorile del lavoro (anche qui il tempo passa ma la storia si ripete).
“R’vanninth” nona traccia dell’album, anche questa si apre con un duetto tra violino e chitarre, spezzato da inserti della batteria (Keith Baxter per questo cd) e il basso (Graeme “Mr. Bean” English, così presentato durante i live italiani dallo stesso Walkyier) altra traccia skyclad style (ovviamente, dato che questo è il secondo cd è molto più thrash che folk). Canzone di riguardante l’invasione romana delle isole Britanniche e dell’uccisione di una regina guerriera (R’vannith appunto).
Penultima canzone “the declaration of indifference” intro di solo violino trasformandosi in una canzone assolutamente speciale, dato che anche al primo ascolto resta almeno il ritornello nella testa. Del testo che dire… metto il ritornello e fate voi: “pledge allegiance to pretende-the white flag of indifference.- you sought a grail forged of fools gold- and on the quest your souls were sold.” Come è iniziata, la canzone ovviamente, così finisce sfumando.
Ultima traccia del cd “alone in the death’s shadow” traccia lenta rispetto a tutto il cd. La voce si appoggia ad un tappeto melodico delle tastiere, mentre le chitarre utilizzano delay e flanger per rendere “liquidi” i suoni. Solo batteria e basso seguono una direzione differente rispetto al resto del gruppo, senza però rendersi fuori luogo oppure coprire gli altri strumenti. Dopo l’assolo della chitarra classica, entrambe le chitarre lasciano i suoni “lunghi” per la solida e compatta distorsione facendo un secondo assolo ed anticipando la rabbia del cantato che si ha sul finire della canzone.
Che dire… un “must” per tutti gli appassionati di metal dai thrasher a quelli vicini a sonorità folk!
Nota di colore finale: “if you’re reading this & haven’t bought it – buy it! & if have you bought it, tell someone else to buy it! Cheers to all aur fans, see ya on tour soon.” Questo è quello che si legge alla fine dei thanks del gruppo, assolutamente vero.
Dopo questo cd la loro richiesta si trasformerà in augurio di buona fortuna!
“May your guardian spirits be with you always!”