Recensione: A Century in the Curse of Time

Di Carlo Passa - 21 Settembre 2015 - 9:00
A Century in the Curse of Time
Band: Pyogenesis
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2015
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
78

Non che fossimo qui in trepida attesa da tredici anni (al 2002 risale l’ultimo album della band, She Makes Me Wish I Had A Gun), ma fa piacere ritrovare in attività i tedeschi Pyogenesis, che tornano a farsi sentire con questo A Century in the Curse of Time.
Allo stesso modo, non ci aspettavamo più niente di buono da una formazione che pareva essersi ormai persa all’altezza dei deliri punk-pop di Unpop (appunto) e Mono… Or Will It Ever Be The Way It Used To Be.
Tuttavia, il sostrato metal del gruppo non era del tutto sopito; Flo V. Schwarz e compagnia bella avranno sentito il bisogno di ridare lustro metallico a un nome che aveva comunque ben figurato nella serie B della scena gothic/doom di una ventina di anni fa (Twinaleblood, 1995, era un buon disco).
Ed ecco che arriva sorprendente A Century in the Curse of Time, che è un disco fresco, dinamico, ricco di spunti, originale e decisamente più aggressivo di come avevamo lasciato la band l’ultima volta che era passata per i nostri logori impianti stereo, a inizio millennio.
L’opener, e singolo, Steam Paves Its Way (The Machine), riscopre addirittura il growling, abbandonato fin dalla prima fatica discografica dei Pyogenesis. E che growling: death melodico molto lineare e semplice, capace di scaturire in un ritornello pulito e orecchiabile. Il pezzo è bello ed entra subito in circolo. Ma quanto aspetta l’ascoltatore promette anche meglio.
Tra il marziale e l’industrial, A Love Once New Has Now Grown Old colpisce per le sue soluzioni mai banali sia a livello di melodia che di arrangiamenti, a tratti debitori dei Faith No More più aggressivi.
This Won’t Last Forever è, invece, un pezzo heavy hard al limite del melanconico, che nasconde bene un altro originale lavorio in fase di arrangiamento. Le soluzioni vocali  sono pienamente azzeccate in un contesto dolceamaro pienamente centrato.
Ve li ricordate i Saigon Kick, band “alternative” dei primi anni novanta, quando tutto sembrava dover essere rimesso in discussione? Ecco: The Best Is Yet To Come suona come un pezzo dei Saigon Kick con un tocco gothic. Armonizzazioni di voci, un’atmosfera vagamente anni settanta e suoni molto meno metallici rispetto a quanto ascoltato fino ad ora.
La successiva Lifeless sembra un pezzo dei Paradise Lost del periodo di Icon; e non sfigura.
Con The Swan King torniamo alle armonizzazioni vocali nella strofa, caratterizzata da una bella linea melodica. Il pezzo, poi, si trasforma nel momento più scanzonato dell’intero album, ricordano il passato (un)pop della band e candidandosi al ruolo di traccia meno ispirata del disco.
Flesh And Air è chiaramente composta per essere un inno, con quel coro melodioso e un andamento lento tra l’hard rock epico e il gotico. Il risultato è una una canzone che si ascolta volentieri, ma non lascia molto.
Infine, ecco che il lato più progressivo e gothic della band prevale nella canzone eponima dell’album. Un quarto d’ora fatto di variazioni, lunghi momenti strumentali, chitarre, pianoforte, dilatate riflessioni sulfuree e luminose aperture. Insomma, un caleidoscopio di soluzioni tutto sommato ben amalgamato, in cui l’aspetto più gotico del gruppo si fonde con soluzioni inattese e arrangiamenti insospettabili.
Sarò sincero: proprio non me l’aspettavo più dai Pyogenesis. A Century in the Curse of Time è un ottimo prodotto: pur nella propria semplicità, richiede più ascolti per essere assimilato, grazie a una serie di particolari che suonano motivati solo quando il quadro d’insieme di ogni pezzo è ben chiaro al fruitore. Insomma, dimenticatevi Unpop, ma scordate anche molto di quanto vi passa per le orecchie in questi tempi stereotipati. I Pyogenesis sapranno stupirvi, suonando semplicemente buona, fresca e originale musica.

Ultimi album di Pyogenesis