Recensione: A Dream in Static
Più giro attorno a “A Dream in Static”, debut album degli Earthside, e meno mi sono chiare le dinamiche che hanno portato alla creazione di un album di tale abbacinante bellezza, così come di un tale clamoroso successo.
La storia in pillole: quattro ragazzi della East coast statunitense iniziano a racimolare spiccioli per incidere un album. Nel giro di sei anni, complice anche un certo quale echo via internet (che evidentemente non va a vantaggio dei soli Protest the Hero e di grandi nomi affermati), i nostri coinvolgono un’orchestra, un pugno di singer che esattamente schifo non fanno – tipo Daniel Tompkins dei TesseracT e Björn Strid dei Soilwork – e pure un’impressionante crew d’ingegneria audio. Gente che ha mixato gli album degli Opeth, per darvi un’idea.
Sulla base di ciò, direte voi, uno va in giro per il web e, tra i suoi reconditi recessi dovrebbe ottenere delle informazioni. Chi sono costoro? Dove hanno militato? A chi hanno dato il culo per coinvolgere tutto sto popò di gente e dare alle stampe un disco senza alcun supporto da parte di una label?
Ecco, riguardo le prime due domande cercando nel web non si fa alcun progresso: i quattro Earthside sembrano essere dei novellini totali. Riguardo alla terza, invece… ecco, la risposta dev’essere contenuta non tanto nella domanda formulata, ma nella prima frase di questa review.
Eh già, questi Earthside sono infatti in possesso di una tecnica mostruosa, e di un’abilità compositiva incredibile, che poche band possono vantarsi di avere. Oltre a ciò, gli statunitensi si inseriscono in un genere che al momento non ha un nome, ma è molto trendy. Si tratta di quella nuova ondata di prog vagamente emo che ha in gruppi come i TesseracT, i Karnivool o i The Contorsionist gli esponenti di punta. Oltre a ciò, i nostri sono dotati di un orecchio cinematografico e sinfonico, unito ad una certa predilezione per melodie ipnotiche proprie del post rock.
E qui ci troviamo di fronte ad un primo punto chiave di questo album. Di otto tracce, quattro si fregiano di guest vocalist, le altre quattro sono strumentali. E almeno due delle strumentali, “Entering the Light” e “The Undergoing”, sono due pezzi incredibili, esempi fenomenali di post progressive che mettono in mostra le incredibili capacità del tastierista Frank Sacramone. Pezzi entrambi sopra i sei minuti, entrambi in grado di fottere (piuttosto brutalmente) il cervello sulle ali di un singolo riff di tastiera contornati da numerosi virtuosismi al servizio della semplicità e supportati da una produzione stratosferica.
Le abilità di Scarmone sono ulteriormente esaltate, sulla conclusiva, sinistra e opprimente “Contemplation Of The Beautiful”, sui quali si inserisce molto bene anche il cantato di Eric Zirlinger. Altri pezzi di sicuro valore sono “Mob Mentality” e la title track, in cui i nostri mettono in mostra le loro capacità di songwriting a livello di strofe e ritornelli catchy ed accattivanti, impreziositi da collaborazioni d’eccezione.
Ma c’è poco da dire in realtà, nessuna delle 8 tracce di questo sorprendente debut risulta sottotono, quanto è stato descritto prima costituisce piuttosto le vette di una prova sopraffina. Gli Earthside, con il loro debutto, hanno messo insieme una prova moderna, dinamica ed irresistibile, musica complessa che stupra l’anima con incredibile semplicità.
Derivativi? Difficile dirlo, dato che i nostri si inseriscono in un filone nato di recente, mettendo pur sempre in mostra carattere e personalità. Detto ciò, visto che arriviamo in ritardo, “A Dream in Static” può essere considerato a buon titolo tra le autentiche sorprese del 2015 (è uscito lo scorso ottobre). L’unico neo viene purtroppo da parte nostra, non essendoci accorti subito di questa incredibile perla.