Recensione: A Good Day To Die
Un po’ più power e un po’ meno heavy di Black Roses. Questo il responso.
I complimenti incassati in tutta Europa per lo splendido debutto non hanno indebolito gli anconetani The Dogma che rientrano di gran carriera sul mercato con il nuovissimo A Good Day To Die, disco che registra lievissime differenze rispetto al fortunato predecessore ma che mantiene inalterati i tratti malinconici che caratterizzarono quel sound.
Segnaliamo un paio di cambi di formazione: Andrea Massetti è subentrato al basso sostituendo Steve Vawamas durante il recente tour e il batterista Mike Terrana (Masterplan, ex Rage) ha abbandonato il testimone a favore di Marco Bianchella che torna a sedersi sulla poltrona che gli spettava di diritto dopo l’incidente che lo mise temporaneamente fuori uso. La qualità è pressoché inalterata.
Terminato l’effetto sorpresa, la band di Cosimo Binetti deve fare i conti con una label, la teutonica Drakkar Records, piuttosto esigente in termini qualitativi e quantitativi e, nonostante una leggerissima inflessione in fase di songwriting, A Good Day To Die mette in evidenza le grandi capacità compositive di un quintetto che rimescola le sue influenze interpretandole con maturità, accettando un piccolo compromesso a discapito di un pizzico d’originalità.
Avevo accostato ai Manowar i The Dogma di Black Roses, in questo caso preferisco affiancare loro gli Edguy (ma non è l’unica influenza) di Hellfire Club: noterete anche voi le somiglianze con la superband di Fulda, a cominciare dall’anthemica In The Name Of Rock, simile sul ritornello e nell’impianto ritmico alla ben più famosa King Of Fools. E non è tutto: Daniele Santori, al microfono, “scimmiotta” più di una volta il collega Tobias Sammet riuscendo nell’impresa di eguagliarlo quando calano i ritmi a favore di memorabili lentoni nostalgici quali Autumn Tears e Christine Closed Her Eyes.
Una parabola ascendente quella di Daniele: mediocre su Symphonies of Love and Hate (il primo demo), discreto sul debutto, buono su A Good Day To Die.
Da segnalare la performance di Binetti; la sua chitarra elettrica diventa elemento sempre più determinante nel comparto ritmico e solista.
Le migliori? La classe sopraffina della title track (che prevede, insieme alla nona Angel In Cage, l’ospite di lusso Lisa Middelhauve degli Xandria) e della sesta I Hate Your Love sono indiscutibili, così come lo sono i riferimenti ai cori (meno pomposi a dire il vero) dei Nightwish di Once. Ridin’ The Dark è il brano che più si avvicina alle atmosfere di Black Roses, discorso musicale ripreso e sviluppato da Back From Hell e da Feel My Pain, altri due momenti vincenti.
L’intero album risulta gradevole e ricco di spunti interessanti, confermando lo spessore qualitativo di un gruppo che il grande salto l’ha già compiuto. In attesa del disco della consacrazione, non posso far altro che consigliare l’acquisto di A Good Day To Die, lavoro che non tradisce le attese e che si fa apprezzare nella sua totalità. I The Dogma possono e devono osare di più, la sensazione è quella di una band in grado di poter competere per un ruolo da protagonista in quanto dispone delle carte adatte per poterlo diventare. E’ il vostro turno, ragazzi, giocatele bene.
Gaetano Loffredo
Tracklist:
1.The Beginning Of The End
2.A good Day To Die
3.In The Name Of Rock
4.Bitches Street
5.She Falls On The Grave
6.I Hate Your Love
7.Autumn Tears
8.Ridin’ The Dark
9.Amgel In Cage
10.Back From Hell
11.Feel My Pain
12.Bullet In My Soul
13.Christine Closed Her Eyes