Recensione: A Hollow Full of Hope
Nel 1999, a Londra, Christian Leitch (chitarra) e Steve Morrisey (basso) danno vita ai The River, formazione Doom Metal giunta al quarto full lenght “A Hollow Full of Hope” di recentissima pubblicazione. La storia dei The River è intimamente legata a quella dei Warning, una delle realtà più influenti nel Doom dei primi Duemila, e dei 40 Watt Sun, band guidate da Patrick Walker in cui ha suonato Christian Leitch. Il chitarrista dei The River, infatti, è apparso – in veste di batterista – sia su “Bridges” dei Warning (EP realizzato prima dello scioglimento) sia nei primi 2 album dei 40 Watt Sun.
Premessa essenziale, quella sopra, per delineare l’evoluzione artistica dei The River, per molti versi simile a quella delle band di Walker. Non si tratta affatto di cloni: i gruppi in questione sono dotati di una personalità forte e ben riconoscibile; tuttavia, è naturale che musicisti che collaborano in modo continuativo finiscano per influenzarsi reciprocamente. E, in effetti, è possibile individuare parecchi parallelismi tra la produzione pre-2010 dei The River e quella dei Warning, con sonorità Doom – a tratti anche piuttosto opprimenti – smussate dalla gentile voce femminile di Vicky Walters nel caso dei The Rivers e dalle melodie vocali di Patrick in quello dei Warning.
Nel 2019, dopo un lungo silenzio discografico, i The River tornano con una nuova cantante, Jenny Newton, e con l’album “Vessels into White Tides”, che – con una proposta piuttosto melodica, ma ancora intrisa di momenti ombrosi – risente notevolmente dell’esperienza di Leitch nei 40 Watt Sun. Poi c’è la fuoriuscita di Leitch dai 40 Watt Sun e, con le ultime release, gli ormai ex compagni prendono strade diverse: con “Perfect Light” (qui recensito) i 40 Watt Sun, ormai one man band di Patrick Walker, accantonano (ancora non è dato sapere se momentaneamente o definitivamente) il Doom per abbracciare uno stile minimale, a metà strada tra il Folk e l’Alternative Rock, mentre con “A Hollow Full of Hope” i The River sviluppano – in chiave ancor più melodica – la direzione artistica intrapresa con il suo predecessore.
Il nuovo album è composto da 5 brani, per una durata complessiva di circa 40 minuti. L’apertura è lasciata a “Fading”, con le sue atmosfere intimiste ad opera di chitarra acustica, organo e voce; il mood del brano rimane inalterato anche quando, nella seconda parte, entrano chitarra elettrica e sezione ritmica. Con la successiva “Exits” si passa a un Doom dalle accentuate tinte melodiche, in cui le accordature bassissime, il riffing lento e il fragore dei piatti sono controbilanciati dal canto soave ed emotivo della Newton.
“Tiny Ticking Clocks” è un altro delicato momento elettro-acustico, che spicca per le linee vocali e per gli indovinati inserti d’archi. Con “A Vignette” si torna al Doom: i piatti scandiscono un tempo molto lento, riempito da dilatati accordi downtuned, in una traccia che trova la sua chiave espressiva nella contrapposizione tra luce (la voce della Newton) e ombra (la sezione strumentalmente). Avviandosi alla conclusione, il pezzo cambia nettamente: affiorano delicati giri di chitarra che determinano uno stacco stilistico atto a introdurre la strumentale “Hollowful” che chiude il disco su arie ovattate, tra arpeggi di chitarra acustica e archi.
Emotività e sensibilità rappresentano i capisaldi dell’approccio dei The River, attributi assai di rado ascrivibili al Doom, un genere che tradizionalmente preferisce toccare altre corde: in questa peculiarità risiede l’unicità della band e la forza di questo “A Hollow Full of Hope”.