Recensione: A Journey Through Virtual Dystopia

Di Paolo Fagioli D'Antona - 11 Giugno 2024 - 15:40
A Journey Through Virtual Dystopia
Etichetta: Paid Vacation
Genere: Metalcore 
Anno: 2024
Nazione:
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74

Sono giunti al quarto disco in studio i Red Handed Denial, band metalcore canadese formatasi nel 2008 ma usciti con il primo vero e proprio full-lenght solamente nel 2013. La band guidata dalla carismatica vocalist Lauren Babic famosa per essere anche una Youtuber di un certo spessore e fama, torna sulle scene per presentare il nuovo platter A Journey Through Virtual Dystopia, un disco dalla durata molto asciutta (appena trentadue minuti) che vede la band continuare ad esplorare i lidi musicali proposti negli ultimissimi album in studio I’d Rather Be Asleep del 2022 e Redeemer del 2019. Rispetto a questi lavori tuttavia, la band offre un sound che in questo nuovo album appare più compatto, meglio prodotto, forse un pelo meno complesso ma sicuramente più catchy e con un uso più importante dell’elettronica. Lontani sono i tempi del debutto Stories Of Old, dove la band si avvicinava maggiormente ad un metal alternativo che in questo disco è sicuramente presente ma dove gli elementi più metalcore, le chitarre djent e le sezioni più vicine all’electro-pop si fanno sicuramente più preponderanti e in primo piano.

A Journey Through Virtual Dystopia è un disco le cui tematiche ovviamente riflettono molto il titolo dell’album, addentrandosi nel mondo dei social media, della tecnologia, del suo effetto psicologico sulle persone, non tralasciando però canzoni più intime e personali. Una cosa che si nota subito rispetto ai precedenti album è quanto la band abbia fatto attenzione a rendere il loro sound estremamente equilibrato, pesante ma allo stesso tempo melodico e catchy, un mix di breakdown schiaccia ossa, sezioni più vicine all’electro-pop e la voce della Babic che si alterna tra scream e pulito in maniera sublime per una vocalist che disco dopo disco diventa sempre più impressionante nel riuscire ad offrire una performance che per quanto mi riguarda si avvicina sempre di più per impatto, emotività ed intonazione alle top vocalist della scena metal moderna come potrebbe essere una Courtney LaPlante degli Spiritbox per esempio. Gli stessi Spiritbox tra l’altro sono una band la cui proposta ritroviamo in buona parte in questo platter che senza toccare i livelli di eccellenza della band di Courtney LaPlante e Mike Stringer, offre nella sua pur breve durata un disco che si ascolta in maniera molto piacevole con un sound dinamico ed interessante seppur non originalissimo, specialmente se consideriamo la pletora di band presenti in questo filone.

Parasite apre l’album nella maniera migliore possibile per un brano heavy con dei possenti chitarroni djent, breakdown poderosi, ma anche degli elementi catchy molto ben riusciti. My Demise inizia con la voce filtrata della Babic e delle parti elettroniche per poi sfociare in un riff ultra “groovoso” e corposo. L’anima pop della band esce fuori preponderante in brani come questo, con linee vocali immediate e ammiccanti che a volte mi ricordano quelle di Elyze Ryd degli Amaranthe e altre quelle della già citata Courtney degli Spiritbox, mentre il breakdown alla fine del pezzo è davvero convincente e offre quell’equilibrio perfetto in un sound che non credo diventerà mai troppo mieloso per la maggior parte degli ascoltatori. Ancora una volta le linee vocali della successiva One More Night sono assolutamente splendide per un brano che pur suonando un pochino derivativo e non originalissimo colpisce nel segno ed emoziona per uno dei pezzi più melodici e accessibili del lotto con un beat elettronico sul finale che esplode in un climax emozionale d’impatto e che colpisce nel suo intento. Interessante l’idea da parte della band di spezzare l’album con degli interludi completamente elettronici come Driving Towards A Neon Sunset… che sfuma nella pesante Smokescreen. Stessa cosa accade per …And Then I Found Myself In A Virtual Dystopia che precede Eat Glass, probabilmente il pezzo più pesante del disco e anche uno dei meglio riusciti per una band che si dimostra capace di esplorare entrambi gli estremi dello spettro sonoro e di farlo in maniera convincente. In questo brano si fanno prepotenti le influenze alternative metal specie in alcuni passaggi, per un pezzo incalzante e abrasivo dove sul finale la stessa vocalist sputa parole a raffica con la sua timbrica in scream manco fosse Alissa White-Gluz nel periodo dei The Agonist. Il disco si chiude con due brani più soft, addirittura I Hope You’re Happy è sorretta da una chitarra acustica per un brano che sul finale offre un crescendo emotivo forse un pochino telefonato ma comunque ben riuscito. Home ci fa sentire qualche sferzata di chitarre heavy e qualche parte in growl ma cercando sempre quella vena melodica coadiuvata da delle linee vocali calde e avvolgenti.

Che dire in conclusione quindi di questo nuovo platter dei Red Handed Denial? Certamente non è un disco che brilla per innovazione o esplorazioni sonore particolari ma se siete fan di band come gli Spiritbox che sanno miscelare quegli elementi metalcore e alternative metal con una produzione moderna, linee vocali molto catchy e un tocco di elettronica ed elementi pop, ecco che questa band ha tutte le carte in regola per fare al caso vostro offrendo dei pezzi di buona fattura sorretti da una vocalist, Lauren Babic, che è certamente il fiore all’occhiello di questo platter. Nel complesso un disco convincente.

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