Recensione: A Legacy Of Blood, Fire & Steel
Il Boss è tornato…ovviamente non stiamo parlando di Bruce Springsteen, ma di Ross Friedman, meglio noto appunto come Ross The Boss, chitarrista e cofondatore insieme a Joey Di Maio dei Manowar. Sodalizio artistico che ha portato alla realizzazione di una serie di opere che, bene o male, sono diventate tasselli fondamentali per la storia del metal fino all’ inaspettata dipartita da parte dell’axeman avvenuta nell’89. All’epoca si parlò di split amichevole con Joey Di Maio che definì il chitarrista “un fratello dei campi di battaglia“, elogiando il suo lavoro.
Recentemente però proprio Ross avrebbe riferito una versione differente più legata a motivi economici. Ora, su chi dei due possa avere ragione o torto non avremo mai idee troppo chiare, sta di fatto che, a detta di molti, dopo questa separazione i Manowar non hanno più raggiunto certi livelli qualitativi.
Dopo vari progetti e collaborazioni, nel 2008 Ross forma l’attuale band che porta il suo nome, realizzando quattro album sintetizzati in questa raccolta intitolata A Legacy Of Blood, Fire & Steel. Un titolo difficilmente non accostabile al suo passato con i Manowar. Sul disco sono presenti dodici brani estratti un po’ da tutti i quattro cd realizzati finora.
Le ostilità si aprono con Blood Of Knives, tratta dal primo disco New Metal Leader dove alla voce c’era ancora Patrick Fuchs. Il pezzo si presenta come una rasoiata metallica più vicina ad un certo US power di band come Jag Panzer che non alle produzioni di Di Maio & Company. Un segnale che dimostra come il Boss, già dagli esordi non intendesse diventare la cover band di se stesso. I suoi trascorsi con i Manowar vengono comunque chiamati in causa con la seguente I Got The Right, una marcia costruita su di un tempo medio epico e trionfale. Ancora atmosfere epiche su We Will Kill con riferimenti ai maestri Black Sabbath se non altro per il riff iniziale che ricorda non poco quello di Children Of The Grave.
Echi della più nota Blood Of The King emergono invece in Kingdom Arise, pezzo in cui Ross dimostra quello che è stato il suo contributo al suono che è diventato il marchio di fabbrica dei Manowar negli anni 80.
Hailstorm è una mitragliatrice di riff di chitarra e di galoppate di batteria, mente sulla strumentale Great Gods Glorious la chitarra si sbizzarrisce su una rocciosa struttura ritmica.
By Blood Sworn tratta dall’omonimo album del 2018 vede il cambio dietro al microfono con Fuchs che cede il posto a Marc Lopes. L’incedere del brano ricorda molto quello di Blood Of My Enemy che apriva quella pietra miliare di Hail To England. La voce di Lopes rispetto al suo predecessore si presenta più aspra e ruvida al limite del thrash. E di questo deve essersene accorto anche Kurdt Vanderhoof tanto da reclutare di recente Lopes per i suoi Metal Church.
La rabbiosa This Is Vengeance è un vero e proprio assalto all’arma bianca che non lascia via di scampo, mentre We Are The Night, forse per stare in tema con il titolo, si presenta come più tenebrosa.
Pare proprio che Ross The Boss, voglia fare capire a tutti, se mai ce ne sia bisogno, che la storia dei Manowar passa inevitabilmente fra le corde della sua chitarra. Da non dimenticare poi, come lo stesso Boss ha ribadito in più occasioni, che quando uscì Battle Hymns nell’82, Di Maio era un esordiente alla prima esperienza in studio, mentre il chitarrista aveva sulle spalle già quattro album con i Dictators. Ciò nonostante Ross non si limita a copiare la sua ex band, spaziando da anthem epici ad altri episodi più riconducibili ad uno speed power di scuola americana.
Tornando al disco in questione, una buona menzione va fatta per Maiden Of Shadows, una maestosa cavalcata epica con richiami ai Maiden oltre che nel titolo anche nella struttura musicale. Born Of Fire potrebbe stare tranquillamente sul nuovo lavoro dei Metal Church, infine chiude il disco Denied By The Cross, pezzo ruvido di classica scuola US power.
Nonostante le buone canzoni presenti, A Legacy Of Blood, Fire & Steel non può certo essere definito un disco imperdibile. Le tracce quà riportate sono tali e quali a quelle già presenti nei quattro lavori ufficiali, ed è proprio per questo motivo che non gli viene assegnato un voto più alto.
Diciamo che questa raccolta va intesa come un biglietto con cui avvicinarsi ai lavori solisti di Ross The Boss, sui quali pare venga recuperato lo spirito dei primi album realizzati con i Metal King’s, ormai sulla bocca di tutti più per cause legali e atteggiamenti discutibili che non per la loro musica.
Per concludere mi sento di consigliare vivamente le produzioni del chitarrista statunitense, ai fans della band di Joey Di Maio, soprattutto a quelli delusi dalle loro ultime uscite.
E non credete a chi vi dice che Ross The Boss ha realizzato una fotocopia dei Manowar. La verità è che il Boss si sta solo riprendendo ciò che gli appartiene.