Recensione: A Living Nightmare
Data la giovanissima età verrebbe da associare d’ufficio il gruppo costituito da questi cinque ragazzi, Jimmy D alle vocals, Nate Dog e Jarv’ Rule alle chitarre, Donny Starko al basso e Axl Tanner alla batteria, con la ormai onnipresente scena metalcore, eppure c’è un “MA”. Anzi, una serie di “MA” che in effetti a ben guardare costituiscono degli indizi decisamente rilevanti sulla loro proposta e la loro attitudine. Il nome innanzitutto, conciso e costituito da un’unica parola, “Demoraliser”, niente a che vedere con le frasi adottate a monicker da buona parte dei gruppi *core, dagli As I Lay Dying fino agli August Burns Red; poi la provenienza, non la luccicante California né la paludosa Florida bensì la vecchia Inghilterra, precisamente le cittadine di Grimsby e di Hull. Infine, un disinteresse per il look che trapela dalle varie foto promozionali e dai due sciatti video caricati su Youtube, tale da essere addirittura fastidioso alla vista e in ogni caso lontano anni luce dalle unghie laccate e dagli eyeliner come pure dai ciuffetti pseudo-Emo.
Ma la musica com’è? Se cercavate ritornelli melodici e voci pulite rimarrete delusi, Jimmy D urla e si agita come un ossesso per tutti i 31 minuti di musica proposti su “A Living Nightmare”, full lenght nuovo di zecca pubblicato sotto l’egida della Siege Of Amida Records e diretto successore dei due Ep e dello split album realizzato in compagnia dei The Haverbrook Disaster editi nel 2010. L’attitudine dei Demoralizer è fondamentalmente hardcore e ricorda per certi versi l’asciutta essenzialità dei Black Breath più che l’approccio catchy dei gruppi *core più mainstream, mentre il loro sound sta a metà tra il metalcore più brutale degli All Shall Perish (senza però la produzione laccata di casa Nuke) e il djent dei Periphery, che i cinque inglesi spolpano senza pietà delle fughe strumentali e soprattutto della spasmodica ricercatezza vocale del cantato in clean di Spencer Sotelo.
“A Living Nightmare” è, dunque, più simile ad una carcassa di ferraglia rugginosa che non ad un blocco di granito, tanto per restare entro metafore care alla letteratura critica dell’heavy metal, in cui l’hardcore si fonde in maniera piuttosto appetibile con l’industrial, il death metal e il djent a creare un mostro futurista e industrialoide dalle fattezze decisamente inquietanti.
Difficile estrarre un traccia in particolare; i Demoraliser pestano durissimo per tutto il minutaggio disponibile e senza concessioni alla melodia vocale; Jimmy D, come anticipato, si destreggia con efficacia tra i registri del growl e dello scream mentre le sezioni strumentali ipercinetiche inseguono e accompagnano i suoi latrati in maniera decisamente riuscita. La frenesia del guitar work, non impedisce tuttavia di apprezzare alcune piccole grandi finezze che costellano qua e là gli episodi migliori dell’album, dalla scelta di timbriche squisitamente djenty fino all’utilizzo di partiture che ricordano da vicino gli In Flames di inizio millennio.
Il tridente posto in apertura e costituito da “Pretender”, “ A Living Nightmare” e “Checkmate” a dispetto dei canoni rigidi del genere presenta una buon alternarsi delle soluzioni sopra descritte e una sapiente gestione delle ritmiche, il tutto con l’obiettivo di tenere il più lontano possibile qualsivoglia sensazione di appiattimento e monotonia. Monotonia che non affiora nemmeno con “The House Always Wins” nonostante il pegno pagato agli All Shall Perish o “Early Years” , forse la più “melodica” dell’intero album. “Eye To Eye” mitraglia con violenza prima di uno stacco dalle sfumature elettroniche che fa Periphery lontano un miglio, “Mother ‘s Ruin” è spezzettata e terremotante come certe cose dei 36 Crazyfists ma con i santini di Jesper Strömblad e Bjorn Gelotte in bella vista sopra i giacigli di Dog e Rule. Il finale riservato a “Reap What You Sow”, “Blind Sighted” e “Blood Meridian” mette in bella mostra le tracce più particolari e ricercate di tutto l’album, la durata è sempre ridotta all’osso ma le soluzioni addirittura magniloquenti e di grande effetto messe in campo dalle chitarre, unitamente al preciso ed encomiabile lavoro di basso e batteria chiudono come meglio forse non si poteva un album decisamente interessante da parte di una band giovane e di buone prospettive.
Stefano Burini
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Line Up
Jimmy D: voce
Nate Dog: chitarra
Jarv’ Rule: chitarra
Donny Starko: basso
Axl Tanner: batteria
Tracklist
01. Pretender
02. A Living Nightmare
03. Checkmate
04. The House Always Win
05. Early Years
06. Eye To Eye
07. Mother’s Ruin
08. Reap What You Sow
09. Blind Sighted
10. Blood Meridian