Recensione: A Monster’s Life

Di Stefano Burini - 19 Maggio 2016 - 0:08
A Monster’s Life
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2016
Nazione:
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70

Si può sopravvivere a un monicker poco accattivante e in generale a tutta una serie di scelte di marketing poco azzeccate? Si, e il fatto che i The New Black, nonostante tutto, siano ancora qua vivi e vegeti e in pista con un nuovo album (la cui copertina riesce a battere tutta una serie di primati in termini di bruttezza) ne è la prova più lampante.

Guardate bene la front cover di “A Monster’s Life” con la foto segnaletica di quello che sembrerebbe essere una sorta di Godzilla dei poveri e provate a dirmi se in qualche modo vi invoglia all’ascolto… Come dite? No, eh?  

E come darvi torto? Voglio dire, anche l’occhio vuole la sua parte. L’ha sempre voluta e la vuole a maggior ragione oggi, in un periodo storico caratterizzato da una quantità di pubblicazioni a dir poco inverosimile, a ovvio discapito della qualità. Una brutta copertina o un nome poco azzeccato possono, per farla breve, relegare ai margini anche band magari meritevoli e in un certo senso questo è quanto è accaduto/sta accadendo proprio ai The New Black.

La band originaria di Wurzburg, pur non distinguendosi finora per particolari picchi di genialità o innovazione, propone infatti da ormai quasi una decina d’anni anni quello che si può definire un onestissimo hard ‘n’ heavy a tinte alternative. Nulla di incredibile o per cui strapparsi i capelli ma nemmeno musica infame indegna di essere ascoltata, soprattutto per tutti coloro che amano il modern hard rock a tinte groovy di gruppi come Shinedown, penultimi Nickelback e (in parte) Black Label Society

“A Monsters Life”, in questo senso, prosegue dritto per la strada tracciata finora, accentuando lievemente la componente groove e strizzando l’occhio – ancor più che in passato – al tipico sound delle band contemporanee d’oltreoceano. Le dieci canzoni proposte oscillano tutte tra il buono e il discreto grazie alla sapiente fusione tra muscolose distorsioni di chitarra e melodie orecchiabili, tuttavia a mancare – ancora una volta e come già accaduto in passato – sono due elementi fondamentali per chiunque si approcci a questo genere: la variatio in grado di offrire qualche indispensabile sussulto e last but not least la presenza di una vera e propria hit in grado di mettere definitivamente KO l’ascoltatore.

Ingeneroso nei confronti di una band come detto “onesta”? Forse, ma se le scelte di marketing errate fanno la loro parte nel togliere ad una band la luce della ribalta, i contenuti non sono certo da meno e nel caso dei The New Black – fermo restando tutto quanto di buono si può trovare nella loro musica – è corretto affermare che la zampata finale, quella che in definitiva segna il passo tra leader e follower continua a latitare. Dopo quattro album e in un periodo storico nel quale ciò che non balza immediatamente all’occhio o all’orecchio rischia di venire assimilato all’ormai abituale marasma di uscite il più delle volte inutili, non si tratta di un difetto da poco.

Stefano Burini

 

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