Recensione: A Mortal Binding

Di Marco Donè - 16 Aprile 2024 - 6:00
A Mortal Binding
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Doom 
Anno: 2024
Nazione:
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70

Halifax, Inghilterra, casata My Dying Bride. Ci eravamo lasciati nel 2020 con “The Ghost of Orion”, la cui stesura si è rivelata la più tribolata dell’intera carriera della Sposa Morente: tragedie famigliari, cambi di lineup, scioglimento sfiorato, l’abbandono della storica etichetta Peaceville Records, la scelta di accasarsi presso Nuclear Blast. Un periodo caotico, che portò Andrew Craighan a occuparsi quasi in solitaria della stesura dell’album. “The Ghost of Orion”, di conseguenza, non è il classico disco dei My Dying Bride: presenta delle aperture melodiche che mai avevamo incontrato prima in un lavoro della formazione inglese. Un album capace di dividere i fan, con la fazione che urlava al miracolo e chi, invece, ne criticava la svolta. Ci ritroviamo ora, nel 2024, con “A Mortal Binding”, quindicesima fatica di Aaron Stainthorpe e compagni, il cui titolo sa di My Dying Bride fino al midollo. Un lavoro attesissimo da tutti gli appassionati della formazione anglosassone, desiderosi di scoprire quale sentiero abbiano deciso di intraprendere i loro beniamini, i My Dying Bride, i cantori del dolore e della sofferenza.

A Mortal Binding” si apre con ‘Her Dominion’, il cui riff iniziale ci proietta all’interno di una marcia funebre, nel bel mezzo di una giornata piovosa di metà novembre. Un’atmosfera quasi sacra, che viene mandata in frantumi quando Stainthorpe si manifesta con il suo possente growl, generando un’esplosione di rabbia, pesantezza e oscurità. Da questo momento veniamo proiettati in un sentiero fangoso, in cui è difficile muoversi, tanto che a stento riusciamo a reggerci in piedi. La pioggia aumenta la sua intensità, colpisce il nostro viso con maggiore impeto. Sofferenza, dolore e rabbia sono le sensazioni che questa canzone, nera come la pece, riesce a trasmetterci. Una traccia in pieno stile My Dying Bride: buia, cupa, carica di spessore emotivo. Riff grossissimi, colpi di rullante che si rivelano autentiche frustate, il violino che ci avvolge nelle sue gelide melodie. C’è poco da fare: ‘Her Dominion’ ci fa subito urlare: «Sono loro, sono i My Dying Bride, sono tornati».

Quindi “A Mortal Binding” prende le distanze da quanto quanto espresso in “The Ghost of Orion” e ci riconsegna i My Dying Bride che avevamo apprezzato in “Feel the Mysery” e “A Map of All Our Failures”, giusto per citare un paio di dischi? In parte sì e in parte no. Proviamo a spiegarci meglio: “A Mortal Binding” ci regala alcuni gioielli assoluti, come la già citata ‘Her Dominion’, la pesantissima e oscura ‘Unthroned Creed’ o il monolite ‘The Apocalyptist’, capace di rappresentare la sofferenza umana in tutte le sue forme. Queste canzoni esprimono il lato My Dying Bride più puro, quello in grado di descrivere le emozioni più profonde e intime dell’essere umano, senza dover ricorrere alle aperture melodiche protagoniste di “The Ghost of Orion”. E nel resto del disco? Diciamo che le cose cambiano un po’. La ricerca della melodia è presente – in particolare nelle linee vocali – creando una sorta di continuità con il lavoro del 2020. E se nei due singoli fin qui pubblicati i risultati sono pregevoli, in particolare su ‘The 2nd of Three Bells’, la parte conclusiva dell’album , invece, si rivela meno coinvolgente. Stiamo parlando di ‘A Starving Heart’ e ‘Crushed Embers’, due canzoni intrise fino al midollo di atmosfere My Dying Bride ma in cui manca parte di quella oscura magia che caratterizza la formazione inglese. I sei di Halifax, d’altronde, ci hanno abituato bene, ci hanno quasi viziato. È normale essere pretenziosi.

Com’era facile immaginare, il percorso iniziato con “The Ghost of Orion” porta dei riflessi nel nuovo lavoro di Stainthorpe e compagni. Anche se, volendo mettere i puntini sulle “i”, “A Mortal Binding” si rivela un disco più classicamente My Dying Bride rispetto al predecessore. Un album intriso di oscurità, sofferenza, solitudine e desolazione, che in alcune tracce tocca vette elevatissime, perdendosi un po’ nel finale. In “A Mortal Binding” incontriamo inoltre la produzione più patinata mai avuta dai My Dying Bride, con suoni potenti, grossi e cristallini. “A Mortal Binding”, insomma, ci consegna dei My Dying Bride più famigliari, un lavoro che saprà soddisfare gli esigenti fan della Sposa Morente. Un album che non toccherà gli apici raggiunti dalla formazione inglese nel suo altisonante passato, ma che ci regala una band in salute. E considerando gli oltre trent’anni di carriera non era assolutamente scontato. Chiudiamo con una piccola riflessione: visti i tempi in cui stiamo vivendo, caratterizzati da una deriva sempre più evidente della società, sentivamo il bisogno di un nuovo lavoro griffato My Dying Bride.

Utter, utter the words of her mind

Mother, mother to all mankind

Utter, utter all men will fall

 

Marco Donè

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