Recensione: A New Dimension
Primo demo per gli Odd Dimension, combo piemontese nato nel 2002 ad Alessandria, tra i cui membri fondatori figura anche il tastierista dei Secret Sphere, Antonio Agate. Nel 2005 quest’ultimo lasciava la nuova band nelle valide mani dell’axeman Gianmaria Saddi e del drummer Federico Pennazzato (anch’egli attualmente nei Secret Sphere), ai quali si era già aggiunto il bassista Gigi Andreone. Nello stesso anno la formazione colmava il vuoto dietro al microfono con l’arrivo di Manuel Candiotto, e di lì a breve incideva i tre brani che vanno a costituire questo A New Dimension.
Lo stile degli Odd Dimension si colloca nel pieno della corrente progressive metal, brillando per una notevole preparazione tecnica e per un gusto raffinato negli arrangiamenti. Alla luce di tali premesse dispiace un po’ che la band non riesca a scrollarsi di dosso il costume, ormai recepito in modo quasi dogmatico, di prendere a modello i Dream Theater dell’era Moore – quasi che suonare progressive significhi avvicinarsi il più possibile allo stile del manifesto Images and Words. Questo appare particolarmente evidente, per esempio, nell’approccio del singer Candiotto, dotato di un timbro piacevole e di una buona tecnica: tuttavia la scelta di spingere costantemente all’estremo le proprie capacità vocali, forse condizionata da un forzoso confronto con un James Labrie, non appare sempre vincente. Potrebbe invece risultare assai più efficace un’impostazione meno esasperata e più attenta all’interpretazione e al feeling.
Nulla da eccepire alle individualità, ben amalgamate e dotate già di una certa esperienza, oltre che capaci di una buona intesa reciproca, come si evince dalla maturità di alcune strutture ritmico-melodiche in Ethereal Lies. Anche sulle composizioni tuttavia incombe l’ombra della formazione newyorkese: questo è particolarmente evidente in alcuni dei passaggi centrali di The Hope – brano peraltro ben articolato anche se a tratti un po’ prolisso – che ricalcano troppo da vicino alcune soluzioni già apprezzate in dischi come Awake.
Ma non si vuole certamente mettere all’indice una formazione giunta al primo demo solo perché non inventa nulla di nuovo. Sarà dunque opportuno individuare e valorizzare quegli aspetti che, se ben sviluppati, potrebbero consentire agli Odd Dimension di raggiungere traguardi importanti. Vanno a tal proposito premiati l’eclettismo e l’audacia che hanno generato un pezzo come Like a Misunderstanding, capace di inframezzare efficacemente le consuete strutture progressive con pregevoli stacchi d’intenzione jazzistica e improvvise impennate di aggressività, caratterizzate da un riffing piacevolmente aggressivo e da una sessione ritmica versatile e dinamica. Colpisce positivamente anche la scelta di incattivire in questi frangenti il cantato, meno pulito e impostato, ma tale proprio per questo da guadagnare diversi punti in incisività.
A New Dimension mette dunque in mostra una formazione cui non difettano certo competenza e ambizione. Si tratta di doti indispensabili per emergere nella scena odierna, tuttavia per rimanere a galla è necessario – sulla lunga distanza – dimostrare di saper produrre idee fresche e vitali, soprattutto in un genere, quale il progressive, che per sua natura dovrebbe rifuggire la pedissequa imitazione. Non sarà facile, ma se gli Odd Dimension sapranno giocarsi le carte giuste, tale obiettivo potrebbe essere alla loro portata.
Tracklist:
1. Ethereal Lies (4:47)
2. The Hope (9:05)
3. Like a Misunderstanding (6:31)