Recensione: A New Era
In a perfect world
In a fucking fake world
There’s no place for a dream
Another circle time will begin
I Lost Dimension nascono nell’aprile del 2011 da un’idea di Gianmarco Borgia e Domenico Cinalli, rispettivamente batterista e chitarrista, cui si aggiungono successivamente Daniele Colaneri, Fabrizio Spinelli e Marco del Borrello. Mossi dall’intenzione di suonare progressive metal ispirato a tematiche sci-fi, con temi quali paradossi spazio temporali et similia, dopo pochi mesi entrano subito in studio per le registrazioni del primo Ep, Another dimensional crack, che riscuotebuon successo grazie alla firma per Dig Up Agency. Sfortunatamente Daniele e Fabrizio abbandonano il progetto, precludendo la possibilità di suonare dal vivo.
I due mastermind non demordono e ingaggiano al basso Vincenzo Cinalli (fratello di Domenico). Fortunatamente Daniele torna in un secondo momento nella band e nell’ottobre del 2012 la band decide, per motivi tecnici, di cambiare il cantante e assoldare Nicola Labombarda. A fine 2013 Daniele lascia la band definitivamente; al suo posto alle tastiere arriva Roberto Zinni.
Anni travagliati, dunque, per i Lost Dimension, ma non carenti dal punto di vista della creatività: A New Era ha tutte le carte in regola per essere considerato un ottimo disco.
Stupisce anzitutto la concisione della scaletta, composta da cinque brani dal minutaggio notevole. Il sound proposto deve molto ai Dream Theater, soprattutto quelli del nuovo millennio, e in generale ricorda alcune sonorità degli Haken e dei meno noti Thought Chamber. Sul proprio profilo fb il gruppo italiano tra le proprie influenze musicali cita anche Nobuo Uematsu (The Black Mages), autore delle colonne sonore di Final Fantasy: nell’ora abbondante di cui si compone l’album sono presenti, infatti, alcuni fraseggi che hanno del videoludico.
I testi di ogni canzone sono autoconclusivi e trattano storie di fantascienza, ambientanti in scenari apocalittici e futuristici, con personaggi sia umani sia divini. Non manca la speranza in un futuro migliore, ma prevalgono le tinte cupe ed epiche.
Veniamo alla musica. L’opener, “Insurrection”, è pirotecnico e accattivante, la tecnica è sovrana, stupiscono i tappeti di tastiera e l’assolo di basso al quinto minuto. C’è spazio anche per un timido growl, si poteva tralasciare, mentre il finale è volutamente brusco. La scaletta è breve, dicevamo, è la volta della prima suite, nonché title track, brano più lungo dell’album. Dopo un primo movimento strumentale, la composizione procede avvincente, tra basso in slap, stacchi di tastiera, doppia cassa e tanta creatività. Nicola Labombarda al microfono è originale e dona personalità al sound dei Lost Dimension e i cambi di tempo non si contano. Le sonorità sposano il concept fantascientifico e ricordano le cadenze “robotiche” di “Metropolis pt. I” dei Dream Theater. Il guitarwork è sostenuto, gli unisoni con i tasti d’avorio sono divertenti e divertiti, si sente l’influenza del maestro Uematsu. Attorno a metà della suite Domenico Cinalli si scatena in un guitarwork alla Michael Romeo, poi è la volta di un cambio di tempo che ricorda Awake. La parte V, “Regression”, è prettamente narrativa e richiama alla mente la rock opera Genius di Daniele Liverani. Al min. 17:40 un pianoforte catartico rompe la colata metallica, con tinte di psichedelia e Lalombarda azzarda qualche acuto floydiano. Negli ultimi minuti trova spazio un lungo assolo di chitarra e alcune trovate in fase d’arrangiamento ricordano “In the presence of enemies”, sempre dei DT.
“Distorted perception” è uno dei brani “corti”, con tematiche che virano sullo psicologico. Un pezzo diretto, in ultima analisi, con un refrain in parte in falsetto. Al sesto minuto trovano spazio alcune sonorità djent.
“The cube” inizia con un riffone sporco, figlio di “Honor Thy Father” del gruppo di Petrucci. Il palm mute abbonda, lo stacco a metà brano porta un repentino cambio d’atmosfere, poi i ritmi tornano inflessibili. La breve sezione tra decimo e undicesimo minuto si avvicina alla colonna sonora di un videogioco, l’effetto è soprendente (e, lo ricordiamo, il progressive ha in sé una dimensione ludica imprescindibile). Il disco termina con un’altra suite, un’avventura sci-fi contaminata di tinte faraoniche, dal titolo parlante, “Limitless”, divisa in cinque movimenti. La prima parte strumentale evoca sonorità vicine ai Thought Chamber, laddove l’inizio del terzo movimento, “Human Revolution”, è di una potenza inaudita, le chitarre droppate creano tinte davvero cupe. A metà del diciottesimo minuto un growl fangoso illumina un momento di metal ferale, cui segue un sample con voce femminile e tastiere alla Super Mario, che prelude a una parentesi divertente, quasi hardcore. Ultimi secondi con note di pianoforte, l’album è concluso.
Che dire? Tanta carne, o meglio, musica, al fuoco, i Lost Dimension hanno ambizione da vendere. L’affiatamento dei musicisti è considerevole, la perizia tecnica anche, la produzione, infine, è all’altezza. Unico limite del sound degli italiani è la mancata emancipazione dai numi tutelari newyorkesi, ma per questo c’è tempo. A New Era è un album che stupisce e si lascia riascoltare, un acquisto più che consigliato per i progster con un occhio di riguardo per le band emergenti.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)