Recensione: A New Promise
Inizialmente considerato un side-project da tutti i suoi componenti, “Khymera” è divenuta un’ambiziosa realtà musicale, sorretta in primis dagli ospiti che partecipano in gran numero al secondo capitolo, “A New Promise”.
Padrone di casa resta sempre il nostro Daniele Liverani, accompagnato alla batteria dall’ormai inseparabile Dario Ciccioni. Se l’omonimo debut vantava collaborazioni di grande spessore come quella di Steve Walsh (Kansas) dietro il microfono, o di Mike Slammer (City Boy, Streets, Seventh Key), che si era occupato anche della produzione e del mixaggio, oltre ad aggiungere la sua chitarra a quelle di Daniele, il nuovo album vede diversi avvicendamenti, che testimoniano la posizione di rilievo che noi Italiani ci siamo ritagliati – grazie a Daniele e alla Frontiers – nel panorama del rock melodico internazionale.
Entra prepotentemente in line-up, nelle esordienti vesti (se si esclude un discutibile disco punk del 1998) di cantante, il bassista dei Pink Cream 69, Dennis Ward, autore anche dell’intero mixaggio, forte dell’esperienza da arrangiatore e produttore maturata, oltre che con la sua band, anche con Angra, Edenbridge, Brainstorm, Place Vendome, e molti altri.
Le novità non finiscono qui: Liverani, infatti, abbandona il suo strumento principale – si occuperà “soltanto” di basso e tastiere – per lasciare la sei corde a Tommy Ermolli, giovane talento con cui Daniele aveva collaborato nel progetto Twinspirit; da segnalare poi, gli importanti apporti, in fase compositiva, di vere e proprie leggende della scena, come Robin e Judithe Randall (Signal, Mark Free), Jeff Scott Soto, Tom e James Martin (Sugartown) e Don Barnes (.38 Special): a parte Soto, che ormai è un po’ ovunque, converrete che si tratta di personaggi di culto!
Ammesso e non concesso che non avessi dubbi sulla qualità del songwriting – mi aspettavo un disco di classe, e, tutto sommato, di un disco di classe si tratta – è stata la voce di Ward a rivelarsi una sorpresa positiva, davvero a suo agio alle prese con un genere difficile, soprattutto alla prima prova. Sarà una coincidenza, ma spesso il suo stile mi è sembrato vicino a quello di Steve Walsh negli Streets, anche se le linee tessute su “A New Promise” sono decisamente più radiofoniche ed immediate. E’ un po’ su questa falsariga che si ascolta il disco in questione: arrangiamenti di classe, refrain trascinanti, perizia tecnica, anche dal punto di vista vocale, ma linee melodiche un po’ troppo già sentite, e a volte poco incisive. Tuttavia qualche brano spicca sugli altri, come “Alone”, che potrebbe considerarsi un’opener, trascurando la breve titletrack strumentale che fa da intro: fin dall’inizio comunque, è chiaro l’approccio all’arrangiamento tipicamente tedesco di Ward – e qui andrei a scomodare i Fair Warning – arioso e happy, con un flavour radiofonico quasi sfacciato, che si affievolirà durante l’ascolto, ma che non abbandonerà mai il gioco.
Il resto è piacevole AOR, non troppo melenso, non troppo aggressivo, non troppo… Insomma qualcosa che riesce sempre a rimanere nei ranghi di un gustoso ascolto, senza sbavare nel rischio di far saltare dalla sedia l’ascoltatore, ma neanche di farlo annoiare a tal punto da interrompere l’esecuzione.
Direi, dunque, che è consigliato ai soli cultori del genere.
Tracklist:
- A New Promise
- Alone
- Let It Burn
- Looking For You
- All That I Have
- The Damage Is Done
- After The Way
- You Can’t Take Me
- Tomorrow Never Comes
- Fields Of Fire
- If You Dare To Dream
- Give in to the world
- All is gone