Recensione: A Parte
Tecnica ed idee: doti spesso difficili da trovare appaiate, ma indispensabili per chiunque voglia affacciarsi al denso panorama musicale odierno, soprattutto se l’intento è quello di farsi strada nell’irto sentiero del progressive. Fortunatamente, i nostrani Atto IV, giunti nel 2004 al debutto sul grande mercato, sembrano ben forniti di entrambe, e il banco di prova è proprio questo A Parte: un disco complesso e introspettivo, da ascoltare attentamente più e più volte, con un’attenzione particolare per i testi. Già, i testi, per i quali coraggiosamente i nostri scelgono la lingua madre, quell’italiano che fu vessillo di gloria per una luminosa generazione di rock e metal nostrani, e che troppo spesso di questi tempi giace svilito da rime scontate e parole di vuota banalità. Ma dei testi, di questi testi, è bene che non ci dimentichiamo: profondi, riflessivi, talvolta criptici, sono loro la vera ciliegina su una torta già di per sé prelibata. A questo punto però non si cada nell’errore di credere che sia il cantato a farla da padrone nel dipanarsi delle tracce, tutt’altro: le linee vocali – certo non strabilianti per tecnica ma di buon feeling, e confacenti all’atmosfera generale dell’album – si calano con misurata discrezione in un ruolo complementare rispetto al resto della strumentazione. E’ infatti quest’ultima a condurre i giochi dalla prima all’ultima nota, ed è forse proprio grazie a ciò che la lingua italiana, strumento tra gli strumenti, riesce ad esaltare appieno quella musicalità che le è propria.
Bastano pochi ascolti per riconoscere nel dna del combo varesino i geni dei maestri del prog tricolore degli anni ’70 (PFM e soci): è qui che vanno ricercate le radici musicali della band, oltre che negli ormai imprescindibili Dream Theater e, a sprazzi, perfino in jazz e fusion. Amalgamare queste sonorità in modo originale e piacevole rappresenta una dimostrazione di abilità e talento non comuni, come non comuni sono le doti tecniche che traspaiono da ogni brano, e che si manifestano in repentini cambi di tempo e soluzioni ritmico-melodiche intelligenti e mai scontate.
Tra gli apici dell’album, primieramente va citata la title track, intrisa di un umore meditativo e vagamente nostalgico, e retta da un’affiatatissima accoppiata di batteria e basso, capace di costruire un intricato dedalo di battute in cui si destreggiano abilmente le melodie intrecciate di chitarra e tastiera. Né si può negare una menzione a song come L’Incubo, dalla trama onirica, allucinata ed inquieta, a tratti vicina ad alcune soluzioni dei già citati Dream Theater; o ancora la strumentale A.D. 2004, ottimo esempio di come le doti tecniche dei singoli non debbano essere pensate in contrasto tra loro, ma possano fondersi in modo naturale valorizzandosi a vicenda; o infine l’incipit Amnesia, di forte matrice jazz, giocata sul contrasto tra strofe dalle tinte fosche, oserei dire ostili, e un refrain di sorprendente orecchiabilità, peraltro ineguagliata nel resto dell’album.
Mi fermo qui, perché ho già citato metà dei brani e finirei per citare anche l’altra metà, ma è bene che sia l’ascoltatore a cogliere l’opportunità di questo confronto, che posso garantire non lo lascerà insoddisfatto. Si era detto: ad ogni band servono tecnica ed idee, ed entrambe qui sono presenti in abbondanza. Ora per il definitivo salto di qualità è sufficiente scrollarsi di dosso le influenze dei grandi nomi e perfezionare uno stile peraltro già elaborato e pronto a spiccare il volo. Nell’attesa, e con l’augurio di sentir riparlare presto di questi quattro ragazzi, godiamoci fino in fondo questo piacevole esordio, la cui bellezza si rivela a poco a poco, senza mai stancare. C’è altro da dire? Ah già: support italian metal!
Tracklist:
1. Amnesia
2. Allucinazioni temporali
3. In Exitu
4. La sindrome
5. A parte
6. A.D. 2004
7. 7. L’incubo
8. Se stesso