Recensione: A Perfect Evil
Curiosa la storia dei polacchi Amorphous, che nascono nel 1991 come Amorphous Death, ma divorziano poco dopo senza lasciare tracce, per tornare sulla scena nel 2004 con una demo preparatoria che spiana la strada al primo full-length “Return From The Dead”, dichiarando apertamente le loro intenzioni.
A distanza di quattro anni l’unico modo per introdurre “A Perfect Evil” è di immaginarvi nella fabbrica di Hostel, dove lo zampino di Quentin Tarantino in versione *-core riesce a catapultarci in un est europeo che molto si avvicina al sound del trio capitanato da Marek Pająk. Il carismatico leader entra a far parte degli Amorphous e riesce a dare nuova linfa alla band, gestendosi e splittandosi in maniera disinvolta con Esqarial e Vader sotto il moniker Spider.
Se per pura distrazione vi siete persi il film è un peccato, perché dall’agonizzante intro potete girare le varie ‘stanze’ assistendo ad uno scenario indimenticabile. Queste stanze si chiamano “Psychosis”, “Shred”, “Lonely Reality” e non lasciano via di scampo: una volta entrati sarete nel bel mezzo di un labirinto senza uscita, perché sarete colpiti da tutte le parti da macigni sonori scagliati contro i vostri timpani. Ma oltre a queste stanze principali il nostro Hostel è fornito anche di altri angoli: “Escape” alterna momenti thrash/death ad altri doom caratterizzati da una componente melodica, preludio di un assolo che è solo l’antipasto per gli amanti del chitarrismo estremo. “My Revenge”, “The Abyss Of Nothingness” e “Discouraged” fondono death, thrash con momenti grindcore, creando riff improbabili ma accattivanti, che conducono verso nuove porte, dando per scontato che il bulldozer di Młody non ha pietà di nessuno schiacciando tutto ciò che gli si para davanti. Ma nel poderoso sound emerge anche il lato più umano e paradossalmente romantico dell’act, con una menzione speciale a Spider, che in “Deception.. Lie.. Forgivness” e “The Abyss Of Nothingness” riesce a mettere in pratica tutta la sua abilità e creatività, economizzando e fondendo allo stesso tempo sweep e frasi melodiche in una costruzione retaggio dei grandi guitar-hero, Steve Vai in primis. Ad esaltare il virtuosismo di Marek Pająk l’ottimo lavoro della sezione ritmica, che crea atmosfere e background ad hoc. La significativa “Let’s Paint The Death” dipinge le mura con pennellate estreme e celebra, come in “Agony Part I”, tratta dal precedente EP, un altro poeta polacco: Czarna, da cui è tratto il testo. Chiude il platter la stanza più eloquente ed inquietante: “Agony Part II” segue “Agony Part I”, improntata su un testo tratto dal libro Songs Of The Dead del poeta polacco Jan Brzechwa, già inclusa nel precedente EP “Modus Operandi.” È death metal allo stato puro, cambi di ritmo, blast beats, riff spietati che vi lasceranno interdetti e storditi in cerca di un’inesistente via di uscita.
Il giro è finito e possiamo fare un resoconto del soggiorno appena trascorso: buona e convincente prova del combo di Wrocław, che lascia a distanza le composizioni e soprattutto il polish sound di Vader e Behemoth, improntando il discorso su riff e ritmiche efficaci e d’impatto più che sul cervellotico, riuscendo comunque a far risultare il prodotto fresco e quasi sempre coinvolgente. Possiamo dire che l’Hostel degli Amorphous abbia aperto i battenti, e, se siete coraggiosi e in cerca di nuove emozioni, sarete di certo i benvenuti.
Vittorio “VS” Sabelli
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Tracce:
1. Psychosis 5:29
2. Deception.. Lie.. Forgivness 3:09
3. Shred 3:59
4. My Revenge 3:41
5. Lonely Reality 2:51
6. Escape 4:29
7. The Abyss Of Nothingness 3:06
8. Discouraged 3:18
9. Let’s Paint The Death 3:19
10. Agony Part II 4:19
Durata 38 min.
Formazione:
Plaski – Voce/Basso
Marek Pająk – Voce/Chitarra
Młody – Batteria