Recensione: A Rose for Egeria
Abbiamo conosciuto, e imparato ad apprezzare, i MaterDea con il precedente album “Satyricon”, un disco di grandissima qualità e personalità come raramente ne abbiamo ascoltati da parte di gruppi non già pienamente affermati a livello internazionale. A tre anni di distanza, la band capitanata da Simon Papa e Marco Strega torna a farsi sentire con questo nuovo “A Rose for Egeria” e noi non potevamo che essere estremamente curiosi al riguardo.
Le prime note di “Beyond the Painting” ci colpiscono e ci lasciano un attimo storditi. In soli tre anni il sound dei MaterDea sembra esser cambiato molto, al punto che potremmo parlare di qualcosa di più di una evoluzione, ma, per certi versi, di una sorta di vero e proprio cambio di rotta.
Le dichiarazioni preliminari all’uscita dell’album ci avevano fatto presagire qualche novità, ma le prime tracce son davvero qualcosa di inaspettato.
Il folk robusto che tanto ci aveva convinto in “Satyricon”, infatti, sembra del tutto scomparso in favore di un sound più vicino a un mix tra gothic sinfonico e power melodico con inserti orchestrali. Niente più violini indiavolati e melodie che spingerebbero chiunque al centro della pista da ballo della festa del paese. Al loro posto riff potenti e tastiere a tratti magniloquenti, “Tàlagor of the Storms” è emblematica da questo punto di vista, così come la titletrack “A Rose for Egeria”. Pezzi che presentano un sound aggressivo, veloce, più genuinamente metal e guitar-oriented, seppur senza mai perder di vista l’orecchiabilità e la melodia.
I MaterDea, in queste primissime tracce, pur avendo cambiato rotta e, parzialmente, anche genere, han mantenuto tutte quelle caratteristiche che colpivano durante l’ascolto di “Satyricon”: una qualità estremamente alta di tutte le canzoni, che siano esse quattro o undici (come in questo caso), e una personalità così spiccata da far sì che questi musicisti siano in grado di rimanere sé stessi indipendentemente dalla proposta musicale.
L’impressione iniziale di aver quasi a che fare con un gruppo diverso da quello che ci si aspettava, però, è destinata a cambiare mentre l’ascolto prosegue. Qui e là comincia a comparire qualche traccia di folk, come in “Whispers of the Great Mother”, “Merlin and the Unicorn” o “An Unexpected Guest”. Ma è solo quando passiamo la metà dell’album che le cose cambiano davvero, come dal giorno alla notte.
I MaterDea che conoscevamo si mostrano pienamente a partire da “Land of Wonder” e lo fanno nel modo migliore possibile con quella che è, probabilmente, il loro pezzo migliore finora. Una traccia folk brillante, incalzante, coinvolgente, piena di idee e di ironia, sempre condotta dalla meravigliosa voce di Simon Papa, vero e proprio punto di forza di tutto l’album.
Il resto della scaletta è un vero e proprio tuffo nella melodia e nelle ritmiche folk, principalmente demandate al violino di Elisabetta Bosio, una chiusura come meglio non si potrebbe chiedere per un disco che è già da considerare un nuovo piccolo gioiello nella discografia dei MaterDea.
L’esordio, come dicevamo, può risultare piuttosto stordente, tanto da lasciar quasi spazio a una punta di delusione. La delusione del fan che si aspetta qualcosa dalla sua band preferita e, invece, si trova di fronte un piatto che, per quanto possa esser gustoso, non è quello che ha ordinato.
Simon Papa e Marco Strega, però, han fatto la scelta più giusta: senza tradire le loro origini han arricchito il proprio sound e la propria proposta musicale, l’hanno resa più variegata e stratificata, non legata unicamente al folk. “A Rose for Egeria” non è un disco lineare, che inizia e finisce nello stesso modo, con undici tracce che avrebbero rischiato di risultare più o meno simili tra loro, ma un CD che si lascia scoprire un pezzo alla volta, conducendo l’ascoltatore, di volta in volta, in nuovi luoghi, in nuovi regni incantati da esplorare, con sempre nuovi panorami da mostrare.
Per concludere, con questo nuovo album i MaterDea si confermano come una delle realtà più interessanti e di qualità del panorama italiano, non solo all’interno del genere folk-pagan, ma in generale. “A Rose for Egeria” riconferma l’ottimo giudizio che avevamo dato alla band e riesce nel difficile compito di migliorarlo, grazie a un sound sempre più variegato, elaborato, in grado di abbracciare in maniera convincente diversi generi musicali estendendo, dunque, il campo d’azione dei MaterDea anche al di fuori del folk, ma senza tradire le origini del gruppo.
Alex “Engash-Krul” Calvi
Discutine sul forum nel topic dedicato al Folk Metal