Recensione: A Saint’s Sinner
Arriva da Belfast la nuova, bollente proposta estiva targata Frontiers Records.
Con alle spalle un solo album edito nel corso del 2008, intitolato “Anthems Of Degeneration”, i Million Dollar Reloaded, oscuro quintetto nordirlandese di cui – ammettiamo candidamente – non avevamo mai sentito parlare, sembrano proprio avere tutte le caratteristiche necessarie nell’ottenere consensi, tanto da staccare un importante contratto con la tentacolare label partenopea per la realizzazione del secondo platter in carriera, “A Sinner’s Saint”.
La ricetta, in effetti, è di quelle con stampato in bella evidenza “garantito al 100%”.
Una base tradizionale ed ultra consolidata, che strappa brandelli a piene mani dal songbook di Ac/Dc, Ratt, Jet Boy, Beggars & Thieves, Black n’Blue, Aerosmith e Thin Lizzy (buon sangue non mente) e confeziona una manciata di brani a base di semplice rock n’roll, ruvido, diretto, classico, genuino e senza contaminazioni.
In altre parole, collaudatissimo ed intramontabile hard rock vecchia maniera. Uno stile che non abbisogna di particolari formule innovative, sofisticate elaborazioni o spericolata originalità per risultare gradito e che, qualora confezionato con cuore e passione, non manca mai di offrire qualche spunto di sincero interesse ai tanti appassionati di suoni così profondamente radicati nell’immaginario ottantiano, da cui provengono e da cui traggono, ancor oggi, spirito e linfa vitale.
Ed è proprio così. I Million Dollar Reload piacciono proprio in virtù di questa loro totale e disarmante semplicità di fondo: chitarre roventi, ritmiche ispessite da tempi medi, voce roca ed alcolica, e via di questo passo…
Ingredienti che abbiamo sentito e ripetuto in un numero infinito di occasioni. Ed in altrettante occasioni, nemmeno a dirlo, gli esiti sono stati per lo più efficaci e forieri di un po’ di belle soddisfazioni, maturate da un sound che attraverso tanta energia e vitalità, finisce sempre per ottenete l’effetto voluto: divertire, trainare il volume verso l’alto e far scapocciare in massima allegria.
Ringraziamo davvero parecchio Phil Conlon e la sua cricca di nerboruti compari per averci fornito un ritratto fedele e quasi romanticamente senza tempo di un genere musicale come questo: ad ascoltare un’accoppiata fulminante come “Bullets In The Sky” e “Blown Away” l’orologio pare arrestarsi, tornando per magia all’epoca in cui tutto è iniziato. Al periodo in cui il suono amplificato di una chitarra Gibson squarciava i cieli dell’universo musicale e la spensieratezza di note aggressive e cariche di testosternica vitalità, dominava un’età molto più ricca di speranze e voglia di vivere, come i leggendari e sempre rimpianti anni ottanta.
Energia, grinta, passione ed un pizzico di poesia tutta rock, ben espressa in uno slow dall’impostazione quasi bluesy come “Broken”, sono i cardini di una proposta e di un album che, inanellando una serie di ispirazioni ben evidenti e manifeste, come da canovaccio non prevede nulla di nuovo ed inaudito, ma che in ugual modo riesce a rendere omaggio ai propri miti in modo del tutto credibile e per nulla stucchevole o fine a se stesso.
La vera forza del rock genuino, robusto e credibile è tutta lì. Nel saper riconoscere coloro i quali desiderano maneggiarne i dettami in maniera leale e sincera, senza snaturare i caratteri principali, per poi perpetuarne tutto l’infinito, magico ed immortale fascino.
E questo manipolo di oscuri rocker di Belfast, sparando in orbita una serie di canzoni come “Smoke n’ Mirror”, “Pretty People” e “Headrush” dimostra di aver capito fino in fondo che il caro, vecchio hard rock, dopo tutto chiede solo massimo rispetto, per poter ripagare i propri adepti con grandi ed abbondanti doni.
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Tracklist:
01. Fight The System
02. Bullets In The Sky
03. Blow Me Away
04. Can’t Tie Me Down
05. Broken
06. I Am The Rapture
07. Wicked
08. Smoke ‘N Mirrors
09. Headrush
10. Pretty People
11. It Ain’t Over
Line Up:
Phil Conlon – Voce
Andy Mackle – Chitarre
Brian Mallon – Chitarre
Kie McMurray – Basso
Sean McKernan – Batteria