Recensione: A Thin Shell
Circa un anno fa, l’uscita dello storico chitarrista Fredrik Norrman dai Katatonia suscitò un certo clamore, tuttavia sembra che non tutti i mali vengano per nuocere, poichè la dipartita dalla sua storica band è stata la molla che lo ha spinto a resuscitare il vecchio progetto death-doom October Tide. Gli October Tide, in origine, nascevano verso metà anni ’90 come side-project dei Katatonia, ed erano formati da Norrman alla chitarra e al basso, e da Jonas Renkse alla voce, alla chitarra e alla batteria. Prima creazione degli October Tide fu Rain Without End, album molto reminiscente – guarda caso – dei Katatonia di Dance Of December Souls e Brave Murder Day, che seppe subito imporsi nel panorama doom grazie alla sua eccellenza. Il successivo Grey Dawn fu invece registrato con un nuovo cantante dietro il microfono, Martin Hansen, a sostituire un Renkse alle prese coi dei problemi alla corde vocali che ai tempi non gli permettevano di cantare in growl; il risultato fu un album buono, supportato dal sempre convincente songwriting dei due mastermind Norrman e Renkse, ma non all’altezza dell’illustre predecessore. A dieci anni di distanza, gli October Tide tornano sulle scene con un full-length dal nome A Thin Shell, col solo Norrman superstite della line-up originale, accompagnato da una formazione del tutto nuova di musicisti, fra cui spicca il vocalist degli In Mourning, Tobias Netzell.
Dieci anni, e non sentirli: gli October Tide suonano oggi, nel 2010, più o meno come suonavano una decade fa. Il genere di riferimento è sempre il death-doom, ma così come allora la band non si fa problemi a spingere un po’ il piede sull’acceleratore e far virare il sound maggiormente verso il death melodico. L’atmosfera che pervade l’album è abbastanza dimessa e malinconica, ma stavolta la delicatezza che caratterizzava Rain Without End è messa parzialmente da parte in favore di un assalto sonoro di notevole pesantezza, merito anche di una produzione molto moderna, che rende i suoni estremamente puliti e corposi; come se non bastasse, il growl del cantante è a dir poco devastante, e i suoi violentissimi ruggiti non fanno che aggiungere ulteriore potenza. Tuttavia, il mood dell’album è ben definito nelle sue caratteristiche di malinconia dal lavoro chitarristico, molto curato e stratificato, e molto attento alla costruzione di melodie sempre interessanti; ci sono sezioni più eteree e cariche di emotività, altre più pesanti, ma il concept che ne viene fuori ha una sua precisa identità, e il sound si mostra perfettamente in grado di adattarsi scorrevolmente all’una e all’altra anima. L’album è composto da sette tracce (di cui una strumentale), tutte di durata tra i cinque e i sette minuti; l’ascolto quindi scorre via abbastanza veloce, tanto da lasciare l’ascoltatore a bocca asciutta dopo un minutaggio relativamente breve (circa quaranta). Fortunatamente, però, tutte le tracce sono di buon livello, quindi ciò che manca in termini di quantità è perfettamente sopperito dalla qualità.
In realtà, A Thin Shell non presenta nessun particolare difetto, se non forse quello di peccare leggermente di originalità, dal momento che non aggiunge niente di nuovo ad un tipo di musica già usato e abusato, e non è contraddistinto neanche da un sound eccessivamente personale, ma d’altra parte non credo che l’intento di Norrman sia mai stato quello di smuovere troppo le acque di formule ben consolidate. A Thin Shell deve altresì confrontarsi con un capolavoro quale Rain Without End, e prevedibilmente ne esce sconfitto, non tanto per demeriti suoi, quanto per i particolari meriti dell’antagonista; in ogni caso, non credo che qualcuno si aspettasse un platter in grado addirittura di spodestare il suo prestigioso antenato. A Thin Shell va preso per le sue qualità, che gli permettono tranquillamente di brillare di luce propria.
Insomma, ritorno più che buono per gli October Tide. La loro nuova fatica non rivoluzionerà il death-doom, ma si impone come un lavoro molto curato, ben composto, e complessivamente di ottima qualità. Doomsters all’ascolto: andate, e acquistate senza indugi.
Giuseppe Abazia
Tracklist
1 – A Custodian Of Science (07:33)
2 – Deplorable Request (06:03)
3 – The Nighttime Project (04:32)
4 – Blackness Devours (myspace)(05:15)
5 – The Dividing Line (05:43)
6 – Fragile (06:35)
7 – Scorned (06:33)
Discutine nel topic relativo