Recensione: A Tragedys Bitter End
Esordio al fulmicotone per il progetto parallelo di Anders Eek, batterista dei doomsters norvegesi Funeral, deciso a soddisfare fino in fondo i propri istinti più depressivi creando i Fallen nel 1996, vista anche la direzione sempre di prim’ordine ma meno estrema della storica band norvegese e sua casa principe.
Giusto il tempo per il demo dimostrativo del 2003 (alcuni sample sono scaricabili dal sito ufficiale della band) ed arriva lo scacco matto nel 2004 intitolato A Tragedy’s Bitter End, che per buona parte della sua durata si può permettere il lusso di dare una spallata a molti grossi nomi del settore (volendone citare uno gli appannati Shape of Despair).
Purtroppo c’è un “ma”; il disco è un treno a due vagoni, il primo “carico” d’una produzione più recente di quella del secondo (brani tratti dal demo ’03) e lo stacco, volenti o nolenti, si sente. E’ impossibile non notare la differente impostazione stilistica e di caratura delle composizioni, che per quanto espressive si dimostrano differenti per la potenza delle emozioni che sanno donare e la maturità/personalità del songwriting; un’escalation qualitativa che ha come punto più basso (in senso eufemistico vista la bontà) le tracce del demo, ma che sfonda letteralmente l’apice in due strumentali d’eccezione ed altrettante perle che, per mio conto, entrano di diritto tra i must del settore.
Soltanto un corteo funebre potrebbe avere la stessa mesta desolazione di “Gravdans”, musica per una processione che nel silenzio accompagna al campo santo il feretro; aperture melodiose e leggere, composte e rispettose, tastiere a simulare il flauto, ritmiche rallentate che sembrano scandire dei passi ed un vocione non certo comune che potrebbe spiazzare. Il colore vocale sembra non porsi limiti nell’estensione verso le tonalità più profonde, un basso/baritono impostato che calza alla perfezione anche con l’andamento greve della seguente “Weary And Wretched”, arricchita da seconde voci corali e dal consueto uso capace delle melodie e dei vocalizzi penetranti. Notevole il potere descrittivo di “To The Fallen”, traccia strumentale che ci consegna alla seconda frazione molto più classica e che in più d’un frangente riporta alla memoria la branca doom anglosassone d’annata. Apre il ciclo “Morphia” e lo chiude “Now That I Die”, lunga marcia di ben 17 minuti abbondanti, due brani che a mio avviso risentono della diversa potenza sonora, di una produzione più asciutta e leggermente “old fashion” che le rende meno omogenee alle precedenti. Un’accoppiata interessante, dotata di buon feeling ma che soffre nel tocco vocale che sembra perdere smalto, versione acerba di quello ben più convincente dell’inizio.Chiusura di lusso sul solo di pianoforte di “The Funeral”.
Un disco che per buona parte suona emotivo e potente in una maniera fuori dal comune, trasformandosi in corsa in un bel mattone per gli amanti dei My Dying Bride più oscuri oltre che dei Cathedral dei tempi pionieristici, senza tralasciare alcuni riferimenti ai Funeral come nell’uso sporadico di una certa metrica nelle parole.
Garbata e sinistramente impeccabile la dedica che un disco tanto solenne riserva al dipartito Einar Fredriksen, morto suicida nel 2003 ed ex membro dei Funeral; degna maniera per onorarne l’esistenza ed il ricordo.
Questo disco ha il sapore di una piccola soddisfazione personale; da tempo seguivo il progetto in questione e trovarlo tanto in salute ed in piena progressione creativa mi fa un gran piacere. Unico rammarico viene dal pensare che pilastro epocale sarebbe stato con sei brani ugualmente maturi, pertanto attendo con ansia crescente qualcos’altro di inedito. Intanto mi godo un disco da premiare senza remore anche sulla fiducia per il futuro.
Tracklist:
1. Gravdans
2. Weary And Wretched
3. To The Fallen
4. Morphia
5. Now That I Die
6. The Funeral