Recensione: A Tribute to Life
Che cosa hanno da spartire due istituzioni del progressive metal come Ray Alder e Joey Vera con i semisconosciuti Fragile Vastness? Per trovare una risposta è necessario volgere lo sguardo al 2005. All’inizio dell’anno i Fates Warning si trovano in Grecia, nei Fragile Studios, per le prove di un breve minitour europeo. Le esercitazioni durano tre giorni, durante i quali la band ha modo di fare la conoscenza dei Fragile Vastness, proprietari della struttura. Subito si intravede la possibilità di una collaborazione fruttuosa, e l’axeman Vangelis Yalamas ottiene di accompagnare la band durante le sue esibizioni ad Atene e Tessalonica in qualità di tecnico delle chitarre. Al termine del tour sembra giunto il momento per le strade delle due band di dividersi, ma non è ancora così. Ascoltato il nuovo album dei Fragile Vastness, seguito del debuto Excerpts, Ray Alder e Joey Vera restano positivamente impressionati, al punto di acconsentire a registrare un paio di canzoni insieme alla band.
Ora, a onor del vero, la partecipazione dei due Fates Warning non incide più di tanto sul risultato finale, spiccando più a livello pubblicitario che contenutistico. È la band a decidere in toto le sorti dell’album con il proprio lavoro. Un lavoro, diciamolo pure senza mezzi termini, semplicemente fenomenale. I dischi sono due, i brani diciassette, i minuti di musica novantatre, i cali di tono zero. Dalla prima all’ultima nota questi ragazzi riescono a mantenere alta la tensione, forgiando un doppio (concept) album dinamico, potente, eclettico, accattivante – ma soprattutto personale. Il termine di paragone maggiormente prossimo sono senza dubbio i Pain of Salvation di qualche anno fa e, in misura minore, gli stessi Fates Warning, soprattutto nelle parti più squisitamente metalliche. Ma in definitiva è l’estro dei Fragile Vastness a dettare legge.
Il coraggio della band emerge già a partire dai testi. “A Tribute to Life” narra la storia di un uomo divorato da un cancro, narra la sua furente rivolta verso dio e il destino, narra il suo vaggio attraverso il mondo alla ricerca di una risposta. Troverà una donna, e scoprirà la gioia e il dolore di un amore senza futuro. Infine, condannato dal male incurabile, l’uomo finirà per implorare l’eterno nemico di concedergli ancora un ultimo istante, un breve attimo, quel tanto che basta per abbracciare la figlia nascitura…
Un tema sì impegnativo sarebbe un peso soverchiante per molte band, ma non per questi giovani ellenici, che dimostrano di saperlo sostenere con l’ausilio di strutture musicali del tutto adeguate. La base è un prog metal potente e non troppo intricato, che gioca le sue carte migliori sul piano dell’eclettismo più che su quello della complessità, mescolando riflessi jazz e folate latin, aliti sinfonici e scorribande elettroniche. L’utilizzo capillare di una strumentazione riconducibile alla tradizione folk conferisce un gustoso accento etnico a brani come la sontuosa “Ya Va Llegando El Dia” o l’incalzante “The Sun Shines For Us All”. E quando per alcuni, brevi tratti la musica sembra sbirciare con troppa insistenza gli appunti dei vicini Pain of Salvation, i ragazzi di Atene si riscattano con una qualità compositiva semplicemente stratosferica, quale gli stessi scandinavi non riescono a raggiungere da anni. Non siete convinti? Provate ad ascoltare lo sfogo rabbioso del refrain di “Somewhere”, o il concitato certame di emozioni in “From East to West”, o ancora la gioia soffocata di “Love and Loss”, poi ne riparliamo.
E con tutto questo siamo soltanto al primo disco. La seconda parte dell’album, pur senza raggiungere forse i livelli pazzeschi della prima, riserva ancora un paio di gemme, come la spettacolare coppia di strumentali “Renaissance”/”Coma”, emblema dei due volti opposti della band. Senza l’obbligo di cercare un capolavoro in ogni traccia, i Fragile Vastness si lasciano andare offrendo episodi di pregio come l’anthemica “Heart of a Lion”, che per un attimo sembra spostare il tiro sui saldi binari dell’hard n’ heavy, o la penetrante “I Want to Do Something that Matters”, prog-song che par trasudare l’esperienza dei veterani. Consapevoli dei propri mezzi, i ragazzi giocano al meglio le loro carte, senza cadere nel (frequente) errore di voler strafare a tutti i costi né di prendersi troppo sul serio. La voglia di mettersi in gioco era d’altronde emersa già nel primo disco con la cover di “Help!”, estemporanea rivisitazione del classico Beatles, forse non impeccabile negli arrangiamenti ma ben amalgamata col sound dell’album.
Ma ora basta con le chiacchiere. Senza troppi giri di parole, diciamo pure il nuovo Fragile Vastness può essere tranquillamente annoverato nella cerchia dei migliori progressive metal album degli ultimi anni. Le difficoltà per la band iniziano ora: confermarsi a questi livelli non sarà per nulla facile. D’altro canto, riuscire nell’impresa significherebbe compiere un considerevole passo avanti nell’Olimpo degli dei del prog. Comunque andranno le cose, il segnale che arriva oggi dall’Attica è forte e chiaro: se pure i grandi possono tradire, il fertile grembo dell’underground è sempre gravido di realtà sorprendenti che aspettano solo di essere portate alla luce.
Riccardo Angelini
Tracklist:
Disc 1:
1. Where Everything Began
2. Maya’s Diary
3. Somewhere
4. Ya Va Illegando El Dia
5. From East To West
6. Failte Rombat A Chara
7. Love And Loss
8. Help
9. The Sun Shines For All Of Us
Disc 2:
1. Heart of a Lion
2. Gaia
3. Renaissance
4. I Want To Do Something That Matters
5. Going Down
6. Coma
7. Don’t Wake Me Up Till I’m Dead
8. Maya