Recensione: A Tribute to the Madmen

Di Stefano Ricetti - 15 Marzo 2018 - 9:04
A Tribute to the Madmen
Band: AA.VV.
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2017
Nazione:
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86

Esattamente come le case editrici di fumetti erano use fare – e peraltro fanno ancora, le poche rimaste, sigh! – nel momento in cui un’uscita raggiungeva un numero “pieno”, quindi psicologicamente associabile a un risultato di un certo rilievo, nasceva naturale l’esigenza di festeggiare con un’edizione speciale. Anche l’editoria metallara italiana applicò lo stesso criterio nel momento in cui H/M e Metal Shock raggiusero la soglia dei 100 numeri pubblicati, solo per citare un paio di casi a noi affini.

Il cespite numero 200 da parte della storica label Black Widow Records di Genova segue lo stesso canovaccio: a suggellare nel tempo questo notevole traguardo – per un’etichetta che da sempre punta alla qualità e non alla quantità si tratta di un numerone… – ci pensa A Tribute To The Madmen, un succosissimo cofanetto di 18 cm x 18 cm apribile dedicato anima e core a due monumenti della Musica tutta, con copertina disegnata da Maru Maratesta. Il duca bianco David Bowie e Marc Bolan, il cantante e chitarrista dei T-Rex, beneficiari dell’operazione Black Widow non abbisognano di presentazioni per chi si abbevera con serietà e passione alle fonti del Rock, quello con la “erre” maiuscola.

L’uscita, alloggiata in un ampio cartonato di qualità, oltre a tre Cd contenenti quarantanove brani reinterpretati da parecchi artisti per un totale generale di circa tre ore e mezzo di ascolto, prevede un booklet curatissimo di sedici pagine, anch’esso 18 x 18 centimetri, una spilla, un poster 49 x 33 cm a opera di Luca Malagò e due cartoline raffiguranti Bolan e Bowie, a firma Rosi Marsala. Il layout grafico dell’intera confezione è stato curato da Pino Pintabona mentre della selezione dei vari pezzi interpretati dalle band si è occupato Massimo Gasperini.      

Al di là del valore collezionistico che una release del genere assumerà nel tempo, perché ce l’ha già scritto nel Dna, quello che ritengo doveroso sottolineare sono le emozioni che codesto cofanetto riesce a sprigionare. Lungo l’ascolto dei tre Cd ci si ritrova per magia immersi negli anni Settanta/Ottanta, i vari interpreti sono riusciti a essere sé stessi senza violentare il messaggio primigenio della premiata accoppiata che, fra le altre cose, scolpì il genere Glam Rock sulle sacre tavole mondiali della musica dura. Mi permetto un inciso personale: sin dalla fine dei Seventies e a maggior ragione negli anni Ottanta – comprai in tempo reale, fra le altre cose in Lp, “Heroes” del ’77 su 45 giri e successivamente “Let’s Dance” del 1983, nello stesso formato, per poi regalarli entrambi a un amico, sì meritevole mah… ☹ – ritenevo David Bowie l’unico artista non metallaro sulla piazza che se avesse solo voluto sarebbe stato in grado di incidere un discone di HM. Oggi, a più di tre decenni di distanza, la penso esattamente alla stessa maniera.          

Tornando A Tribute To The Madmen, il “tiro” rimane su livelli di guardia durante tutto l’ascolto. Cosa non proprio così usuale nel momento in cui vengono coinvolte parecchie band diverse fra loro. Immagino sia stata perpetrata una scrematura di fino, per arrivare a codesti risultati, lungo i due anni di lavorazione per arrivare al prodotto finito.

L’offensiva parte sulla scorta della classe di Paul Roland lungo Meadows of the Sea e The Prettiest Star, ottima la chitarra d’altri tempi utilizzata da Adrian Shaw, ex Hawkwind, in Jeepster, meglio ancora su It’s Aint Easy, zanzarosissima! Seguono By the Light of a Magical Moon e Lady Stardust da parte di Bari Watts, che sul questo primo Cd se la gioca con la nostra Sophya Baccini e i Presence impegnata in Children of the Revolution e We are Dead a livello di arrapamento musicale.

Gradita la cattiveria fornita da Maethelyiah dei The Danse Society su Ride a White Swan mentre in Scary Monsters è la carica dei primi anni Ottanta a fuoriuscire. Pezzo immortale allora come oggi, grazie anche all’interpretazione degli inglesi di Barnsley, la stessa città dei Saxon, nello Yorkshire. Buon sangue non mente…  😉  

Victor Peraino con i suoi Kingdom Come è vicinissimo a David Bowie a livello di mood – sempre che si riesca ad esserlo, beninteso – su Monolith di Marc Bolan e non delude nemmeno su Panic in Detroit. Gioviale Metropolis come ci si attende e anche nella successiva Big Brother La Fabbrica dell’Assoluto colpisce nel segno. Tutti i metallaroni – compreso chi scrive – erano ovviamente impazienti di imbattersi nei Death SS all’opera su questa compilation. Ebbene, Steve Sylvester e soci pestano come si conviene e già con 20th Century Boy il gradiente di potenza sprigionata dal primo Cd si impenna per la gioia di tutti gli amanti del combo maledetto. Energia e classe anche nella seguente Cat People (Putting out Fire) ove un SS recitativo e sciamanico si impadronisce del primo minuto per poi lasciar deflagrare i suoi Death SS andando a marcare l’highlight del primo dischetto ottico. Sua Maestà il Signore delle Tenebre ha il sangue impregnato di anni Settanta tracimando anche nel decennio successivo e si vede – ops… si sente – alla grande. Brividi assicurati con la ritmica di The Slider fatta da Franck Carducci e chiusura sulle suadenti note di Life on Mars, che non abbisogna di ulteriori parole…

Il secondo Cd si apre sulla spinta della durezza, d’altronde gli Hounds of Hasselvander non potevano di certo smollarsi di colpo. Beccatevi quindi un uno-due alla figura griffato Chariot Choogle/Cracked Actor. Beltane Walk dei Blooding Mask ristabilisce l’ordine delle cose in ottica seventies, intrigante la loro lettura anche sulla successiva The Heart’s Filthy Lesson, che porta la tensione emotiva a livelli di guardia. Il Segno del Comando riversa la propria maestria Prog nelle note di Mambo Sun, seguita dall’immortale Ashes to Ashes, anch’essa spettacolare. Cosmic Dancer dà ancora la possibilità a Sophya Baccini, questa volta con gli Aradia, di fornire il proprio talento in favore di questa compilation Black Widow. Per lo scriba il punto più alto del secondo Cd. A seguire, Velvet Goldmine.

Altra interprete femminile di sicuro interesse, Silvia “Sissy” Cesana, scoperta da Gasperini per caso in una rassegna musicale, che con i “The Band“ va dritta al cuore con Girl, grazie anche al sapiente sax di Amedeo Bianchi. Heroes, la mitica, celeberrima canzone di David Bowie viene rifatta sempre da Silvia in una versione dolcissima. Spiazzante per gli amanti della guerra dei watt, senza dubbio, ma fottutamente magnetica. Il pieno di sonorità liquide lo regala Cat Black degli O.A.K. (Oscillazioni Alchemico Creative) che bissano sulle note di The Man who Sold the World. Poi è la volta dei doomster Witchwood impegnati su Childe Star menando il giusto, come è lecito attendersi da un combo come il loro. Ottimi su Rock’n’Roll Suicide, brano al di fuori del loro registro canonico.

A chiudere il secondo dischetto ottico, targate ELOHIM, Ride a White Swan ma soprattutto Let’s Dance riletta in maniera totalmente originale, pezzo che si apprezza dopo più e più passaggi, anche per via della voce di Masumi Arichika.

Il terzo Cd irrompe sulle note di Childe (Bolan) dei Northwinds seguita da Space Oddity di Bowie, formidabile e intrigante come sempre, grazie alla maestria di Sylvain Auve’ e soci. Freddy Delirio, il tastierista dei Death SS – ma anche molto altro – “spara” una Buick Mackane bella energetica seguita dal classicone Rebel Rebel, evergreen che non abbisogna di ulteriore commento. Metal Guru di Bolan non poteva che finire nelle mani di autentici rocker quali i General Stratocuster and the Marshals che ci danno dentro anche su Moonage Daydream. Jack Meille dei Tygers of Pan Tang è una sicurezza in campo hard metallico e non delude mai. Ero curioso di sentire i The Mugshots di Mickey E.Vil alle prese con questa compilation e la loro prova, suddivisa fra Pain and Love e China Girl risulta convincente. Il meglio lo forniscono sulla seconda canzone, ove liberano il gradiente elettrico necessario per rendere appieno lo spirito primigenio di un capolavoro senza tempo. Un doppio tributo alla musica immortale del passato da gente che se ne intende.

Midnight è l’unica cover ad appannaggio degli Electric Swan, brano ove Monica Sardella ci dà dentro alla grande. I Rama Amoeba si impossessano di due pezzi di Marc Bolan: Telegram Sam e Dandy in the Underworld lasciando le stimmate provenienti dal profondo Oriente proprio su quest’ultima. La mistica dispensata senza economia di sorta dai Landskap fa il pieno sulle note di Ballrooms of Mars, per lo scriba la vetta di questo terzo Cd. A seguire, sempre da parte dei londinesi, Look Back in Anger, bella pesante e viva, a fare il paio con la prima, per via di quanto risulti ficcante. In chiusura di A Tribute to the Madmen Rip Off e la strumentale Warszawa (David Bowie & Brian Eno) da parte dei Blue Dawn, con la prima impreziosita dalla voce di Monica Santo e dal sax very sexy di Roberto Nunzio Trabona, da brividi davvero.   

Le radici della musica senza paraocchi risiedono (anche) fra questi solchi. Un tributo di alta qualità come quello concepito dalla Black Widow Records fornisce emozioni a piene mani, non solo per gli amanti dell’Hard e del Glam Rock – in maniera naturale, visti i due capostipiti coinvolti – ma anche per coloro i quali pongono il loro cuore e la loro fede nelle siviere dell’Acciaio.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

VVAA   MADMEN TODOS

 

 

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