Recensione: A View From The Inside
Reb Beach è lo storico chitarrista dei melodic rockers Winger, creatura del bassista e cantante Kip Winger. Dal 2003 è anche una delle asce dei Whitesnake di David Coverdale, con i quali ha inciso album di gran pregio come “Good to Be Bad”, “Forevermore”, “The Purple Album” e il recente “Flesh & Blood”, e insieme ai quali ha anche girato il mondo intero in tour.
L’axeman vanta pure collaborazioni con Dokken, Night Ranger ed Alice Cooper, ma è anche titolare di una propria carriera solista, iniziata nel 2002 con il disco intitolato “Masquerade”.
L’attualità di questo 2020 vede ora Reb Beach riproporsi al pubblico dell’hard’n’heavy proprio con un album “solo”, intitolato “A View From The Inside”, in uscita per gli infaticabili tipi della Frontiers Music.
Il full-length (che vede puranche il “nostro” Michele Luppi – tuttora compagno di Beach nei succitati Whitesnake – al pianoforte in un paio di tracce) non si limita ad assecondare il versante hard rock del chitarrista, ma spazia lungo le sue diverse influenze e passioni; infatti Reb – ci raccontano le biografie – sognava di diventare un guitar hero allenandosi sulle partiture non solo dei classici del rock pesante come Montrose ed Aerosmith, ma anche su quelle di gente come i Dixie Dregs di Steve Morse (da tempo, ormai, fiera ascia degli inossidabili Deep Purple).
Ecco, dunque, che “A View From The Inside” non lesina una manciata di tracce colme di sfumature fusion, quali Little Robots, dalle ritmiche di marca “black music” e dalle pennellate jazz-rock e prog, Attack Of The Massive, veloce, nervosa, dall’incedere funky/fusion e caratterizzata dalle certosine note di basso e pianoforte. Queste ultime sono co-protagoniste, insieme alla chitarra di Reb, anche del più lento e melodico midtempo The Way Home, uno dei brani più suggestivi del lotto.
L’ispirazione hard rock è, sia chiaro, ben presente nell’album, e si palesa in Black Magic, Hawkdance e Whiplash, connotate da una chitarra limpida che non dispiacerà agli ammiratori dei dischi di Satriani, e dalla più inquieta Cutting Loose.
Il disco nasce in casa Frontiers e, pertanto, non può mancare anche qui il marchio di fabbrica melodico dell’etichetta, ben rappresentato da Infinito 1122 (gradevole “cantabile” dall’atmosfera spaziale), da Aurora Borealis, articolata e complessa con sprazzi neoclassici, e dall’incantevole, dolce e liquida Sea Of Tranquility.
Pur se, spesso, gli album strumentali degli axemen del mondo metal tendono ad appassionare soprattutto un pubblico di musicisti, “A View From The Inside” è, invece, un disco ben lontano dall’ostentare virtuosismi e tecnicismi, risultando gradevole assai all’ascolto da parte di qualunque appassionato di buona musica. Anche grazie ad un ventaglio ampio di suggestioni artistiche – comunque ben amalgamate in un humus sonoro omogeneo – che fanno scorrere briosamente tutto il lavoro, evitando accuratamente di tediare l’ascoltatore.
Francesco Maraglino