Recensione: A Wonderful Life
I Mushroomhead sono gli Slipknot per chi si sente troppo alternativo per gli Slipknot. Sono il gruppo di quelli che amano ricordare alla plebaglia che “sono venuti prima loro, quelli mica hanno inventato niente!”. Al di là delle maschere e dell’estetica però, lo stile dei primi è più pacato rispetto a quello dei secondi: un nu metal con influenze gothic e industrial, con un approccio melodico e non troppo estremo. Fondata nel 1993, la band ha subito numerosi cambi di line-up, tanto che l’unico membro originale è rimasto il batterista Steve Felton; nonostante questo la produzione nel corso degli anni è rimasta costante, arrivando all’ottavo album in studio con questo “A Wonderful Life”.
Il primo brano, ‘A Requiem For Tomorrow’, si apre con dei canti gregoriani che riportano alla memoria l’intro di “Lover’s Requiem” (2006) degli I Am Ghost; si profila quindi un’atmosfera di un certo tipo, che viene subito abbandonata per lasciar spazio a un nu metal sì abbastanza dark, ma che nulla ha a che vedere con quanto anticipato. Questo non sarebbe un problema di per sé – contrasti di questo genere se ne sentono spesso – ma c’è qualcos’altro in comune con gli I Am Ghost: il sound è fermo al 2006. Questa sensazione si ripete anche con i brani successivi, e a questo punto è chiaro che la ritroveremo in tutto il disco. Stiamo ascoltando un genere che è già stato ampiamente esplorato nel passato; in certi momenti sembra di riascoltare gli stessi Slipknot, o i Lacuna Coil, o anche i Korn, tutte band al massimo della popolarità in quegli anni.
Andando avanti con i brani, ci si rende conto che c’è troppo. Di tutto. ‘Madness Within’ e ‘Seen It All’ si pongono come pezzi prettamente nu; ‘The Heresy’ vira sul dark atmosferico e lento; ‘What A Shame’ inizia con il classico tema da circo dell’orrore però poi non lo sviluppa, ma perlomeno si abbina bene al pianoforte da casa stregata di ‘Pulse’; in ‘Carry On’ si torna a rappare. Dopo altri cambi di mood troviamo ‘Confutatis’, che in chiusura riprende il canto gregoriano dell’inizio.
Si tratta però di una finta chiusura, perchè seguono poi altre 4 bonus track per un totale di 17 canzoni. Che nel 2020 è accettabile solo se suoni punk vecchia scuola con tracce da un minuto e mezzo l’una. O se hai tanta qualità da offrire. Ma per il resto, il pubblico generalista non ha più lo stesso livello di attenzione di quindici anni fa e 17 canzoni non passano mai.
In definitiva, questo “A Wonderful Life” propone un genere troppo obsoleto per gli anni che viviamo, ma ancora non abbastanza da farne un revival. Qualche bella canzone c’è, anzi, molti brani sono godibili se presi separatamente. Tuttavia una volta messi insieme mancano di collante, è come se fossero stati prodotti separatamente, senza un’idea globale, e poi schiaffati in tracklist alla bell’e meglio. Speriamo sia solo un’impressione.