Recensione: A-Z
Se dovessimo formare il corrispettivo metallico degli “Avengers”, sicuramente si chiamerebbe A-Z e sarebbe composto dal former Mark Zonder alla batteria, da Ray Alder alla voce, Philip Bynoe al basso, Joop Wolters alla chitarra e Vivien Lalu alle tastiere.
Visto il fitto curriculum, ognuno di questi musicisti potrebbe comporre già da solo un gruppo a sé stante. Loro tuttavia hanno deciso di unirsi, facendo confluire tutta l’esperienza accumulata all’interno di un ambizioso nuovo format progressivo-melodico che unisce le competenze maturate da Alder e Zonder nei Fates Warning, alle musicalità AOR tipo Journey (presenza un po’ confermata da un logo una A e una Z sovrapposte, fin troppo similare a quello degli Asia). Se poi all’equazione ci aggiungete anche un bassista turnista di nome Bynoe – veterano dei km percorsi in tour con chitarristi del calibro di Steve Vai e Nuno Bettencourt – perfettamente in grado di spaziare dal R&B all’heavy metal nel giro di un nanosecondo e capace di conquistare tutti con uno slap indemoniato e un potente groove, allora avete anche un buon 50% della sezione ritmica. Moltiplicate per un Joop Wolters (Steve Walsh, Simon Phillips) alla chitarra, in grado di produrre shred e assoli furiosi. Ed elevate alla seconda con un tastierista, Lalu, di formazione jazz che utilizza melodie elaborate di natura orchestrale, oserei addirittura definire “sinfoniche”… ed otterrete sicuramente un album d’esordio eclettico e manieristico.
Se tutti i calcoli sono esatti la prima canzone: “Trial by Fire” dovrebbe farvi cadere in ginocchio, in preda ad una visione mistica. Ed in effetti pare essere così: d’un tratto la luce della stanza sembra affievolirsi, sfarfalla, poi di colpo siete al buio. Abbassate lo sguardo verso le vostre mani, stranamente costrette dentro a dai guanti di lattice. Notate poi il camice chirurgico, leggermente rigonfio sulle maniche, come un sacchetto della frutta carico d’aria che svolazza su un marciapiede. Ancora prima che possiate veramente prendere coscienza di ciò che sta accadendo, sentite il chirurgo in lontananza ordinare: “bisturi!”. Vi guardate attorno, ma non vedete nessuno. Notate solo un tavolo strumentale in acciaio inox, posto precisamente in mezzo alla sala, accuratamente sterilizzata, in cui tutto risulta perfettamente in ordine: perfino gli strumenti per operare che sono stati preparati con scrupolo. Il bisturi con la punta affilata – pronto ad incidere esercitando la giusta quantità di pressione sulla pelle – che luccica nella penombra.
Allungate la mano per afferrarlo, ma qualcuno vi blocca: è Rik Emmett dei Triumph. È uguale a come era negli anni ’80, ma perfino sotto alla cuffietta, vi rendete conto che ha una pettinatura diversa, più contemporanea. La situazione vi affascina, ma allo stesso tempo sentite che quella pettinatura non è davvero la sua. E così, mentre ascoltate “Trial by Fire” che ha tutte le caratteristiche di una album-oriented-rock song (una big intro, buon groove, un motivetto orecchiabile da cantare) siete tentati di strappargli la cuffietta. Questo non è AOR!
In effetti A-Z include tutto lo spettro del metal (anche “qualcosina” in più, se devo dirla tutta) dalla A alla Z, appunto, e fornire un’ attenta analisi di questi 11 brani in totale è quantomeno folle.
Sono onnipresenti la voce possente e cristallina di Adler e i fill complessi di batteria di Zonder, ma poi c’è “The Machine Gunner” che è il figlio power & heavy con manie progressive mai avuto tra i Queensrÿche dell’epoca di “Promised Land” e gli Helloween di “Keeper of the seven keys – pt. II”. Sono presenti tracce decisamente più slow-down come la refrigerante “Rise Again” o “Stranded”, ma anche un po’ di epico e ponderoso sound alla Pyramaze, più un neoclassico e sognante Silent Force nell’ approccio a “At the Waters Edge”.
Nel complesso, però, quella che sicuramente emerge di più è l’eredità del periodo mediano dei Fates Warning, quelli di album come “Parallels” e “A Pleasant Shade Of Grey”.
A-Z è un album energico e visionario, che manca forse solo un po’ di anima per essere perfetto. Un dettaglio che lo rende superbo in modo tale da suscitare poca empatia.
Un gran bel sentire, anche se a volte sarebbe meritevole un piccolo elogio all’ imperfezione.
Da ascoltare se siete affini a Symphony X, Ayreon ed Evergrey!