Recensione: Ääniä Yössä

Di - 4 Ottobre 2010 - 0:00
Ääniä Yössä
Band: Horna
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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81

Horna: un nome che, da solo, suona come una garanzia di qualità e di ferale attitudine se si parla di Black Metal. Dalla mente del chitarrista Shatraug ha preso vita una delle band di punta della musica estrema contemporanea che tra album, singoli e split copre oramai quasi un ventennio (diciassette anni per la precisione) di devozione al lato più oscuro e brutale del metal.
Grazie al caratteristico groove scarno e minimale che li ha resi celebri, nel 2006 i finlandesi escono sul mercato con il controverso Ääniä Yössä, disco certamente non passato inosservato agli amanti del genere, che molto ha fatto scrivere e di cui molto si è discusso.
In effetti, parlando di Ääniä Yössä, ci si addentra nell’estrema “atipicità” di questa specifica proposta musicale degli Horna. Perché il full-length si discosta molto dal solco fin’ora tracciato dal gruppo di Lappeenranta e lo fa con uno spiccato menefreghismo, fedele alla linea di condotta intrapresa fin dagli esordi dell’inno pagano “Pakanahymni Rehearsal”.


Quattro canzoni, per più di quaranta minuti di musica, sono sicuramente scelta insolita nell’ambito black in cui, nello specifico, spicca la luce nera della title-track che domina la release dall’alto dei suoi ventuno minuti.
Il disco, dalla indubbia marcata personalità, si prende gioco delle aspettative del grande pubblico seguendo, in totale autosufficienza, il suo mefitico corso avvolto da una funerea aurea nera satura di una cupa oppressione.
Si può parlare di Ääniä Yössä come del lavoro degli Horna più significativamente “Depressive Black Metal Oriented” che pur ha mantenuto tutta la spiccata personalità in seno alla band: giri lenti al limite del doom rendono la musica il più claustrofobica possibile; la voce, protagonista assoluta del disco, è malata e lacera, abbandonata alla più totale isteria – ancora più marcata con l’uso frequente dell’eco, quasi a voler sottolineare con maggiore enfasi l’eccesso di dolore, di castrazione che pervade l’intera produzione – trova terreno fertile tra le metriche ossute dei brani proposti.
Si fa presto a cestinare il disco se non gli si concede la giusta attenzione. In realtà Ääniä Yössä è un lavoro angosciante, saturo di tetro sgomento da cui sembra difficile liberarsi. Un album delizioso insomma, dedicato interamente all’immortale Yersinia Pestis.
Ripetitivo alla nausea, racchiude in sé tutti gli stati d’animo più frequenti in chi ha fatto di questo particolare genere musicale la punta di diamante negli ascolti quotidiani.


Immergersi in Ääniä Yössä equivale a calarsi sul viso una busta di plastica legandone saldamente i bordi con del nastro adesivo al collo.
All’inizio è disagio: una sensazione di malessere diffuso in tutto il corpo che presto coinvolge il cervello. Subito dopo, il disagio si acuisce divenendo spasmo: in tutto l’organismo l’adrenalina impazzita funge da catalizzatore per il terrore trasformando il semplice contorcersi disordinato delle membra in agghiacciante paura.
Irregolare ed incontrollabile si fa il respiro che gonfia il sacchetto di nylon nel suo appannato incedere, fosco per l’affannoso e fisiologico bisogno d’aria fresca.
Così come la vita fugge via incalzata da una lacerante ipossia, così le canzoni continuano incessantemente a premere contro l’involucro trasparente in un dolce abbraccio mortale.
Negli occhi oramai vitrei, si inizia a dipingere lo sgomento per la perdita della ragione dovuta alla mancanza di ossigeno; l’isteria, tormentata da atroci spasmi muscolari, è amplificata dal respiro incontrollato, mediato da un’aria viziata divenuta oramai bollente. Una lava impalpabile ma incandescente corre per i bronchi tagliando il fiato, incendiando la trachea come fosse acido, profumando la vita di morte ed oblio.
La fine del disco rappresenta il metaforico squarcio del sacchetto un secondo prima dello svenimento, nei pochi istanti antecedenti alla fine del tutto. Solo al termine dell’ultimo brano, un soffio di aria fresca si riappropria violentemente dei polmoni continuando, di fatto, ad infierire su di un corpo allo strenuo delle forze.
Ma il ritorno prepotente alla vita, come in una beffa di un qualche tragicomico romanzo russo di inizio novecento, induce l’ascoltatore rapito dalla musica e dal nugolo di violente emozioni a reiterare l’incubo, riavvolgendo metaforicamente il nastro e facendolo ripartire il disco, in una masochistica volontà di dolore.


Ääniä Yössä: un concept album incentrato sulla Peste Nera che, a cavallo tra il 1347 e il 1352, ha sterminato più di un terzo della popolazione europea.
Tutto gira attorno alla paura. Sempre.
La paura più tetra: quella della morte o, meglio, della sofferenza che intercede il trapasso. È stato ampiamente dimostrato: quello che più spaventa il genere umano non è la morte in sé, quanto l’idea della sofferenza, il patire pene inenarrabili prima della triste dipartita.
Il dolore, la sofferenza, il patema d’animo: gli Horna hanno saputo trascriverli in maniera così sublime da renderli quasi eterei.
Non mancano, come è lecito aspettarsi, duri attacchi frontali al cristianesimo reo d’aver combattuto la pestilenza che flagellò l’Europa con massicce dosi di penitenza, preghiera, e di spietata caccia alle streghe (il cui ruolo di capro espiatorio è ben noto ai più). Spesso a tali rituali gli uomini di fede aggiungevano processioni con tanto di flagellazioni e mutilazioni atte ad “espiare il male” aumentando, di fatto, la portata dell’epidemia visto le copiose fuoriuscite di sangue infetto dalle ferite dei credenti.


La ‘malattia violenta e miserabile’ urlata da Corvus nell’opener “Raiskattu Saastaisessa Valossa”, trova un senso nell’intro (seguito dal consueto ‘attacco di bacchette in stile sala prove’ rozzo ed approssimativo del batterista) dedicato allo sciamare disordinato e confuso di migliaia di ratti che, assieme alle pulci, furono i veri e propri veicoli della “Mors Atra”.
È un continuo susseguirsi di scene di umane miserie; in “Noutajan Kutsu” la danza della morte descrive in modo impietoso lo stato d’animo di una paese sottoposto all’assedio della pandemia. “Nessuno offre più rifugio a chi vaga da solo, i villaggi chiudono le porte agli sconosciuti, l’accoglienza diventa solo un vago ricordo…” questi alcuni dei passaggi più rappresentativi del’impietosa ode all’umana diffidenza, alla ghettizzazione più becera, alla paura della propria stessa ombra.
“Mustan Surman Rukous”, la preghiera della morte nera, risulta un duro attacco al mondo cristiano ostaggio del ‘Messia della Febbre’ che dispensa morte nel paese, al confine tra le case e le paludi infestate.
A chiudere l’opera, la geniale “Ääniä Yössä”, una delle canzoni più monumentali nella disagiata famiglia del Black Metal europeo.
È la canzone dell’orrore, dell’inutile fuga disperata e infelice dalla sofferenza; lontano dai dolori del popolo travolto dalla “Grande Morte”, lontano da una casta che non è più in grado di offrire valide soluzioni ad un popolo ridotto all’annientamento.


Un album dedicato di riflesso a quasi trenta milioni di europei cancellati dalla cartina geografica da un vento fetido che nessuno fu in grado di arginare. Gli Horna ci hanno servito su di un piatto d’argento uno spaccato tragico della storia d’Europa con la consueta cruda violenza sonora.
Una storia raccontata senza troppi giri di parole da un gruppo che ha fatto della brutalità e della coerenza verso la propria musica un vero marchio di fabbrica: impossibile non essere rapiti dalla claustrofobica proposta del combo finlandese.
Fino all’ultimo, straziante, respiro…

Peluso Daniele

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TRACKLIST:


01.Raiskattu Saastaisessa Valossa
02.Noutajan Kutsu
03.Mustan Surman Rukous
04.Ääniä Yössä

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