Recensione: Ab Initio
Benché “Ab Initio” sia, come suggerisce anche il titolo, il debut-album dei milanesi Onirik, gli stessi calcano le scene del death metal sin dal 1997. Un demo nel 2007 (“Demo”) e uno split nel 2008 (“Da Vinci Death Code”, con Septycal Gorge, Fleshgod Apocalypse e Modus Delicti), sono le uniche tracce di una formazione che, in realtà, pesca addirittura negli anni ’90, epoca d’oro per il death metal stile-Death. Anche se, a onor del vero, la parabola di quel tipo di sonorità era già in fase di avanzata discesa.
Incuranti di tutte le difficoltà legate a un genere che sembrava essere in definitivo declino, Michael Kohlmann – attuale bassista – e Dydacus – vocalist di allora – , hanno perseguito con tenacia i propri sogni, dando vita a una band povera come produzione discografica, ma ricchissima in quanto a esperienza, mestiere e tecnica strumentale.
Tecnica strumentale che rende i Nostri perfettamente in grado di gestire con scioltezza quello che è ormai diventato un brutal death metal vero e proprio. Il loro stile è facilmente accostabile ai mostri sacri del genere, anche se lo zampino di Vincent Failla, chitarrista, in qualità invece di tastierista e manipolatore di campionamenti, dà alla band un tocco di originalità niente affatto spiacevole. Lo stesso Failla si sobbarca con notevole abilità il compito di reggere da solo il riffing di chitarra il quale, nonostante ciò, costruisce un muraglione di suono imponente, preciso nella fattura, senza alcuna crepatura strutturale.
Il sound, frutto della produzione di Maurizio Ferrero (Necromega, Drown My Day), è assolutamente immune da qualsivoglia difetto. Gli Onirik sanno davvero il fatto loro, e lo dimostrano senza soluzione di continuità, nel percorso che porta da “Panopticon” a “Rendezvous With Rama”. La forza di “Ab Initio” è erculea, granitica, massiccia. Il growling professionale di Dave “Satras” Ricciuti e il drumming tentacolare di Mauro “Dez” Maraldo sono due altri capisaldi della squadra Onirik, con il secondo ottimo interprete di pattern tipici dei migliori batteristi in campo internazionale, come per esempio G-Calero dei mostruosi Womed. Anche se, rispetto ad abomini similari, gli Onirik non disdegnano i break rallentati come accade per esempio nella già citata “Rendezvous With Rama”.
L’assenza di pecche, cioè l’inappuntabile esecuzione delle song di “Ab Initio”, da un lato dona al suono una maturità addirittura sorprendente, dall’altro taglia il suono stesso in maniera asettica, fredda (Nile?), quasi rubandogli l’anima. È forse questo l’unico neo di un album comunque più che sufficiente in tutto e per tutto: una profondità emotiva che, probabilmente per scelta, non sonda a dovere gli angoli più nascosti della psiche umana. Si tratta probabilmente di una questione più di gusti personali che di un difetto vero e proprio, comunque.
“Ab Initio” è e rimane un lavoro che tiene alta la bandiera del death metal italiano, e gli Onirik sono una realtà da mostrare all’estero con orgoglio e soddisfazione.
Daniele D’Adamo