Recensione: Abandoned Shadows

Di Alessandro Calvi - 29 Gennaio 2005 - 0:00
Abandoned Shadows
Band: Faded
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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68

Side project di Framaz e MKh 979 degli Omonimo, i Faded nascono nel marzo del 2003 con l’intenzione di sperimentare nuove sonorità. Diversamente dal gruppo principale dei due musicisti che punta molto sulla violenza, la velocità e l’estremizzazione a tutti i costi delle propria proposta musicale, in questo caso ci troviamo di fronte a un black spesso lento e riflessivo, forse più vicino ai ritmi e alle tematiche del doom, con qualche passaggio acustico che richiama addirittura a sonorità di matrice folk.

L’album si apre con una lunga intro intitolata “Enter in the Black Light”, si tratta di un brano d’atmosfera in cui sono i suoni d’ambiente a condurci dai passi di chi cammina nella neve, al vociare e allo scalpiccio lontano di un gruppo di uomini a cavallo e infine ai suoi di un bosco di notte con anche il richiamo di un gufo. Su quest’ultimo passaggio si innestano la chitarra acustica e un suono di flauto che poco dopo sono soppiantati dalla voce e dalle chitarre per l’inizio di “Way for the Infinite”, prima vera canzone del disco.
La canzone comincia in maniera abbastanza violenta e potente, ma lascia ampi squarci al proprio interno per l’inserimento delle tastiere e di nuovo della chitarra acustica. Subito da questo primo brano ci accorgiamo che evidentemente i musicisti che stanno dietro ai Faded non sono proprio digiuni di song-writing. Realizzare una canzone di oltre nove minuti che riesca però a filare così bene, tra vari cambi di tempo, sperimentazioni di sonorità varie e un pizzico di voci filtrate, non è comunque da tutti.
Se a questo aggiungiamo che tutte le canzoni del cd, tranne ovviamente l’intro e l’outro, superano abbondantemente gli otto minuti, ma che praticamente mai durante l’intera durata del disco, si avverte un senso di noia o di ripetizione, bisogna dare atto a questi musicisti di aver fatto un gran bel lavoro.
Continuando nella disamina dei brani, è sicuramente da segnalare lo stacco centrale di “Eternal”, con l’uso della voce pulita che si sovrappone a un’altra voce molto profonda e pesantemente effettata, con il contorno di una chitarra classica. Si tratta di un passaggio secondo me molto ben riuscito e decisamente evocativo.
Un’altra caratteristica del sound del gruppo presente in gran parte della canzoni è che il fatto che spesso quando avviene il cambio di tempo tra un momento più lento e riflessivo a uno veloce e tirato in cui ricompaiono le chitarre elettriche e la batteria, gli strumenti che avevano tessuto le precedenti melodie non si zittiscono, ma al contrario continuano a suonare il giro proposto anche prima. Devo quindi ammettere di aver molto apprezzato il contrasto che quindi si crea tra le chitarre elettriche velocissime e la voce al vetriolo di MKh 979, con la chitarra acustica, il flauto o le tastiere che al contrario continuano a suonare molto lente e tristi.
Da segnalare poi il fatto che appunto i giri di chitarra acustica, di tastiera o di flauto non suonino mai ripetitivi, al contrario mi son sempre parsi molto ispirati. Sicuramente una delle scelte compositive più azzeccate di tutto l’album, capaci sempre di creare la giusta atmosfera.

Dal punto di vista delle critiche direi che per quanto il song-writing non c’è proprio nulla da dire, le composizioni hanno a mio avviso una notevole maturità stilistica e tecnica. I vari passaggi in stili diversi e le sperimentazioni sono quasi sempre amalgamati in maniera davvero pregevole. Per il mio gusto personale forse un uso meno evidente del synth in alcune situazioni avrebbe potuto giovare un po’ alla atmosfera complessiva dell’album, ma resta comunque la parola di una persona che non fa esattamente salti di gioia al sentir pronunciare le parole “elettronica” o “voci filtrate”.
Naturalmente due parole si possono sprecare anche per la produzione che ovviamente non è di altissimo livello, ma si attesta comunque su un risultato complessivo decisamente dignitoso anche in virtù del genere proposto dai Faded a cui anzi una produzione un po’ sporca giova sicuramente.

Per concludere devo ammettere di essere rimasto favorevolmente colpito da questo disco. Non si tratta di un genere, quello proposto dai Faded, che normalmente frequento molto. È forse troppo facile infatti imbattersi in album dalle pretese decadenti e depressive che riescono esclusivamente ad annoiare l’ascoltatore. Non è il caso però di questi marchigiani che secondo me hanno fatto centro già al primo tentativo.

Tracklist:
01 Enter in the Black Light
02 Way for the Infinite
03 Eternal
04 Forest’s Shadows
05 Season of Desperation
06 Absolute Scar
07 Last Message

Alex “Engash-Krul” Calvi

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