Recensione: Abbatia Scl. Clementis [Lp Reissue]
Uscito originariamente solo su Cd nel 1993, Abbatia Scl. Clementis di The Black rappresenta un momento di rottura all’interno della carriera di Mario Di Donato, artista abruzzese di altissima caratura, impegnato alla voce e alla chitarra oltreché ai testi in ambito musicale e nello stesso tempo pittore di portata internazionale.
Il disco rappresenta infatti l’ultima incisione del Nostro con l’etichetta Minotauro Records: da quel momento in poi The Black sarà infatti appannaggio della sola Black Widow Records, così come verrà definitivamente chiuso il discorso musicale intrapreso con i Requiem. Dopo gli scazzi del passato avviene inoltre la riappacificazione con lo storico sodale Enio Nicolini, vecchio compare ai tempi degli Unreal Terror, che si occupa delle parti di basso e che incarna ancora oggi una delle colonne portanti il progetto. Ma non è finita: la line-up vede l’ingresso di Emilio Chella, energico batterista che porta ulteriore linfa metallica di stampo purissimo al progetto. Dulcis in fundo, per la prima volta Mario Di Donato si cimenta nel cantato in lingua italiana su di un brano, abbandonando l’usuale latino, comune denominatore dei due precedenti Reliquarium (1989) ed Infernus Paradisus et Purgatorium (1991).
Grazie al supporto della stessa Black Widow Records quest’anno vede la luce, per la prima volta su supporto vinilico, Abbatia Scl. Clementis da parte della label danese Horror Records. Da sottolineare l’interno totalmente nero della confezione cartonata che avviluppa il tutto, particolarmente in linea con un moniker come The Black, poi lo spesso foglio aggiuntivo con le note e i testi su di un lato e l’immagine della band dall’altro. La copertina, così come nel 1993, è il frutto di una rielaborazione grafica di un ritratto di Mario fatto dall’amico Enio Lopez Suarez.
La side A del trentatré giri si apre con Voragnis, l’ideale intro sinistro di tutto il lavoro, che dà poi spazio all’attacco di batteria di Emilio Chella, randellatore di razza che in modo assolutamente naturale aggiunge dinamismo alla proposta di The Black, come anticipato sopra. Mazzate a non finire e velocità sostenuta all’interno di Missa Est, brano fottutamente e fieramente heavy metal ove il cantato in latino di Mario, nonostante l’impianto tipicamente Nwobhm del pezzo, ottiene lo stesso effetto benefico del cacio sui maccheroni, tanto per parafrasare un qualcosa di orgogliosamente appartenente alla cultura italiana. Rex Inferi è splendidamente Iron Maiden, quando ancora gli inglesi si mettevano il chiodo, le borchie, gli spandex a righe e avevano un cantante 50% Punk e 50% HM, a quel tempo solidissimo. La voce evocativa di Di Donato conferisce alla canzone il giusto profumo di zolfo. Chiusura del primo lato del vinile affidata a Mater Immortalis, ove il ribollire della batteria di Chella insieme con il basso di Nicolini dettano legge e Mario ci dà dentro come deve.
Il Lato B si apre con la splendida strumentale Post Communio: il logico e doveroso trait d’union con il passato di The Black. Spettrale l’organo suonato da Sasha Buontempo – Sascia nel cartonato interno (sic.) -, che catapulta mentalmente all’interno della stessa Abbazia di San Clemente al tramonto, a Castiglione a Casauria in provincia di Pescara, quando gli ultimi raggi di luce si arrendono al calare delle tenebre e anche le solitamente rassicuranti ombre di una chiesa sanno incutere timore e reverenza… per chi scrive il climax del disco, insieme con il pezzo successivo, l’arrembante title track, situazione artistica inedita per il The Black inteso nella sua accezione più classica. La dinamicità la fa da padrona, Mario “tira” alla grande su voci raddoppiate e il riff portante si rifà ai Black Sabbath più solari. Irresistibile il bridge principale, una delle migliori cose scritte da The Black in carriera, per lo scrivente.
I quasi sei minuti di Testamentis costituiscono un benefico tuffo nel passato della vecchia Inghilterra, laddove l’Acciaio si respirava per strada, fra Sheffield e Birmingham, Mario tesse dei riff a la Saxon da pelle d’oca, Nicolini pompa come Steve Dawson e Chella picchia da par suo. Quasi a sorpresa, dopo tre minuti e mezzo circa, l’ascia di The Black fende le tenebre come sapeva fare il miglior Paul Chain dei primi Death SS conferendo la malignità necessaria al restante minutaggio. Abbatia Scl. Clementis si congeda sulle ossessive note di Oremus, il cui testo viene preso dal libro Triangoli del Cielo di Franz Ciminieri, una traccia alla Black Sabbath dei tempi d’oro pregna di cambi tempo, con il dominus dei The Black sorprendentemente alle prese con la lingua italiana, peraltro con stuzzicanti riscontri. Special guest alla voce sovrapposta Eugenio “Metus” Mucci, già sodale con i Requiem.
Abbatia Scl. Clementis rimane a tutt’oggi il lavoro più tradizionalmente heavy metal della discografia di The Black: mezzora abbondante di ars et metal mentis di classe per un artista peculiare non solo a livello italiano, ma mondiale. Superfluo aggiungere altro…
Stefano “Steven Rich” Ricetti
The Black: foto di Gianni Romanelli Lavinio