Recensione: Abomination
Ci sono band che fluttuano mediante movimento similare avanti e indietro sfiorando due generi distinti, rendendone così ardua la classificazione. Non che questo sia così importante, tuttavia dà l’idea a cosa ci si trovi davanti.
Una di queste sono gli Slaughter The Giant che, con il loro secondo full-length, “Abomination“, si mostrano agli utenti con un double face black / death metal. Ci vuole un po’, in effetti per stabilire cosa scegliere, estraendo i dettami di base a poco a poco, per addivenire al black metal.
Anzitutto la voce, bifronte anch’essa ma orientata con maggiore inclinazione verso le harsh vocals invece che al growling. Harsh vocals che, come tutti ormai sanno, sono accostate a varie tipologie fra cui manca il death. Poi il sound. A tratti devastante, annichilente, violentissimo, dall’odore di nero lontano un miglio (“Nothingness“, “Alien Abduction“). Da non dimenticare nemmeno l’ambient, che forma l’incipit di (“A World Engulfed in Flames“). Infine, gli intrecci delle chitarre che, soprattutto, permettono di porre l’attenzione su ciò che delinea lo stile dei Nostri.
Uno stile classico, dai contorni segnatamente sinfonici che riportano la mente dritta dritta al symphonic black metal. Ciò che andava in voga a cavallo del 2000 e anche oltre. È opportuno sottolineare che, pur rimandandosi a quell’epoca, gli Slaughter The Giant macinano black metal moderno, allineato alle metodologie melodiche che vanno per la maggiore. Niente rigurgiti nostalgici, pertanto, quanto la voglia di suonare in un certo modo sì da rendere omaggio a titani fra i quali si possono citare per esempio Emperor, Limbonic Art, Dimmu Borgir e primi Cradle Of Filth.
Ovviamente devono essere mantenute le dovute distanze da tali Campioni, poiché, seppure perfetti nell’estrapolazione di uno stile che li distingua dal resto della canea urlante, gli Slaughter The Giant si possono collocare un gradino più basso. Non per imperizia tecnica, anzi, e non per qualità compositiva; bensì per il fatto, non da poco, che i Nostri siano arrivati in ritardo rispetto ai fautori del citato sottogenere black.
Comunque suona tutto alla perfezione. L’esecuzione è totalmente professionale, alimentando in tal modo la capacità di espressione delle idee musicali che ruotano nelle teste del gruppo belga. Il perché è chiaro: più bravi si è a suonare, più possibilità espressive da vagliare ci sono. Perfetta anche la produzione, molto pulita, esplosiva, che consente una lettura irreprensibile del disco.
Tornando alle chitarre, il loro lavoro è semplicemente mostruoso. Sia per quanto riguarda la fase ritmica, questa sì, accostabile a volte al death, sia per ciò che concerne quella solista, impegnata in abbellimenti, assoli, ghirigori dal mood un po’ gotico, un po’ funereo. Altra dimostrazione, in sostanza, di un approccio estremamente serio alla questione.
Come serio è il modus operandi del songwriting. Si percepisce piuttosto facilmente che si tratta di una circostanza studiata sin nei più piccoli particolari: le canzoni obbediscono come segugi allo stile-madre degli Slaughter The Giant. Con che, donando all’LP una scioltezza e linearità che non fa che aumentare l’assorbimento della musica. Come si può rilevare dall’immancabile e già citata suite finale “A World Engulfed in Flames“. Tutto il potenziale realizzativo viene diluito lungo il brano, quasi a voler dimostrare che là dentro c’è il cuore dell’act europeo. E che cuore!
Siccome lo stile non è particolarmente originale, è chiaro che si deve puntare alle tracce. Pur non essendo esplosive al 100% per via di una musicalità non elevatissima e per alcuni passaggi i quali hanno il sapore di dejà-vu, alla fine si lasciano ascoltare con piacere, almeno dagli appassionati del genere, regalando a essi una buona mezz’ora di sano e polposo black metal, da ascoltare rigorosamente ad alto volume.
Daniele “dani66” D’Adamo